Parte Nona
Iniziamo questa parte nona dal soggetto della formazione liturgica che sono i fedeli. Ho scelto, come punto di partenza i quattro canoni del Codice di Diritto Canonico che rendono chiaro il processo discendente del tema: il soggetto della formazione liturgica sono i fedeli. Ma chi sono i fedeli? Sono il popolo di Dio.
Can. 204 – § 1. I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.
I fedeli sono i battezzati.
Can. 207 – § 1 Per istituzione divina vi sono nella Chiesa, tra i fedeli i ministri sacri, che nel diritto sono chiamati anche chierici; gli altri fedeli poi sono chiamati anche laici.
Can. 208 Fra tutti fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano nell’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno.
Ciò che distingue è la funzione, come nella Trinità: ciò che distingue le tre persone è la missione che hanno da compiere per la salvezza. Per questo chierici e laici hanno una loro tipica formazione, in funzione del servizio alla Chiesa che devono compiere.
Can. 217 I fedeli, in quanto sono chiamati mediante il battesimo a condurre una vita conforme alla dottrina evangelica, hanno diritto all’educazione cristiana, con cui possano essere formati a conseguire la maturità della persona umana e contemporaneamente a conoscere e a vivere il mistero della salvezza.
Il diritto afferma che i fedeli sono i destinatari della formazione cristiana e anche della formazione liturgica. Quindi tutto il popolo di Dio e i fedeli, affinché siano formati e trasformati ad immagine di Cristo: questo è l’oggetto, questo è il movente per ricevere la formazione umana e cristiana, perché soggetti di diritto, perché battezzati che hanno il dovere di vivere la vita cristiana.
ISTRUZIONE: è il processo con il quale si trasmettono informazioni per determinare l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze per il quale si presuppone una necessaria verifica della misura dell’apprendimento offerto, attraverso esami, test. Prove per determinare i corrispettivi titoli e gradi.
L’EDUCAZIONE: questa è una particolare attività umana che prevede la trasmissione di conoscenze da parte di individui più esperti a soggetti meno esperti nel campo dei comportamenti, delle abitudini e degli atteggiamenti.
La cosa che colpisce nell’educazione è la trasmissione attraverso soggetti e istituzioni: la scuola, gli educatori, i pastori, chi opera all’interno di una Chiesa nei vari ministeri diventa educatore anche nella liturgia. Infatti, i pastori attraverso l’ars celebrandi diventano educatori.
Vedremo come in Desiderio desideravi, ma anche nel ministero dei papi precedenti, a partire da Pio X con Tra le sollecitudini, Benedetto XVI e papa Francesco, si desidera che nella Chiesa si abbia un’istruzione. Quindi una formazione alla liturgia, ma anche una formazione dalla liturgia attraverso l’ars celebrandi, la formazione e la partecipazione.
LA FORMAZIONE: è un processo di sviluppo psicofisico e di crescita intellettiva, culturale, sociale e personale, che considera il soggetto della formazione dal punto di vista delle esperienze di vita che plasmano le scelte, le inclinazioni, i comportamenti.
È evidente che questi tre termini fanno parte di un processo che è locale, ma se noi guardiamo attentamente, è il processo che avviene nella catechesi sacramentale: noi conosciamo i praenotanda dei libri liturgici, quindi abbiamo l’istruzione, ma questa non è sufficiente per la formazione è necessario iniziare un processo di acquisizione che non è attraverso la verifica: so che cosa dice il n. 1 dei praenotanda, ma è come io vivo tutto questo nel quotidiano: celebriamo ciò che viviamo e viviamo ciò che celebriamo. Tutto questo dovrà diventare formativo ed educativo, per me e per gli altri.
L’educazione è la parte intermedia del processo
Questi tre termini sono fondamentali riguardo alla catechesi. I pastori dovrebbero, sia a livello parrocchiale che diocesano e sia a livello delle scuole cattoliche, adottare questa metodologia dell’iniziazione cristiana: cercare di trovare una modalità di espressione per i sacramenti che abbia si l’istruzione, ma soprattutto la formazione, mediante gli educatori. Perché l’educazione ha come centro la testimonianza, è la propria vita cristiana, la propria vita liturgica che è messa in discussione, perché educatori non ci si improvvisa.
Ora, proprio attraverso il celebrare, Desiderio Desideravi pone al centro la formazione dalla celebrazione perché, attraverso il celebrare come atto vitale ne vedremo l’importanza, facendoci guidare dal grande maestro Romano Guardini. Infatti, notiamo come è la celebrazione stessa che c’insegna a vivere la sequela a Cristo, ma siccome questa non è magia, tutto dipende dai soggetti che la pongono in atto: ecco perché una Messa non vale un’altra e un presidente non vale l’altro!!
Ricordo la frase di un giovane che dopo la Messa di Natale affermò: c’era tutto, ma non c’era nulla, perché i soggetti non erano riusciti ad attuare la presenza del Risorto in mezzo alla sua Chiesa, perché la celebrazione era stata sciatta e noiosa.
Infatti, il rito non esiste se non c’è chi lo celebra, i simboli vanno decodificati e resi vitali attraverso parole e gesti.
Quindi non solo fornire contenuti, ma accompagnare a fare esperienze, tramite il celebrare. In Desiderio Desideravi ricorre spesso il verbo accompagnare. Particolarmente la n. 47 si parla del segno della croce e si pone in evidenza guidare nell’acquisire il significato delle parole e dei riti.
I pastori sono educatori del popolo di Dio.
La presidenza è il luogo della formazione e della partecipazione e dell’accompagnamento.
È Importante che ci sia una presidenza che permetta ai fedeli di partecipare in modo attivo e consapevole alla celebrazione SC 48. Questo spesso da parte del clero sembra sempre, o quasi, una concessione.
La partecipazione del popolo di Dio alle celebrazioni è una concessione di colui che presiede o un diritto? Abbiamo avuto la risposta dal Codice di Diritto Canonico, da Sacrosanctum Concilium e lo vedremo anche dalla lettera pastorale di Montini del 1958 è anche il pensiero di Guardini e dei grandi del Movimento Liturgico. La partecipazione dei fedeli alla liturgia è un diritto perché, essendo parte dell’assemblea celebrante esercitano un proprio ruolo, all’interno di una celebrazione liturgica. Infatti, il popolo di Dio ha un suo ruolo nell’ars celebrandi. Purtroppo il non riconoscimento del ruolo che compete al popolo di dio, capita quando il prete non ha chiaro o non crede nei dettami del Concilio e tiene l’assemblea in disparte, accentrando su di lui le varie parti della celebrazione: ponendo in atto l’autoreferenzialità.
Partecipare è l’oggetto della formazione liturgica, che significa celebrare in modo pieno, consapevole e attivo il mistero di Cristo.
Partecipare significa prendere parte ad una forma di attività con la propria presenza, con la propria adesione, con l’interessamento diretto, recando un effettivo contributo al compiersi dell’attività stessa, per cui la partecipazione è la via per fondare l’appartenenza alla Chiesa.
Nei dialoghi l’assemblea compie il rito, ricordiamo quello che afferma sia Giustino che i Padri della Chiesa circa l’AMEN con cui si chiude la preghiera eucaristica che colui che presiede proclama a nome dell’assemblea celebrante e non a nome proprio.
L’assemblea celebrante, prende parte al rito, vi aderisce ed è direttamente interessata perché si compia il mistero di Cristo e si rinsaldi la sua appartenenza alla Chiesa. Prendere parte per appartenere, oppure appartenere perché si prende parte.
Il fatto di concorrere insieme con altri fedeli alla celebrazione del mistero di Cristo rende autocoscienti della propria identità cristiana. Questo è il centro della lettera apostolica Desiderio Desideravi e dovrebbe essere anche il centro dell’attività pastorale.
Concorrere insieme alla celebrazione del rito infonde l’esperienza del sentirsi corpo di Cristo. Guardini sostiene che la formazione liturgica è la celebrazione stessa. Ed è anche il tema della prima parte di Desiderio Desideravi: che sostiene che la liturgia, come afferma Sacrosactum Concilium n. 10 è culmen e fons della vita cristiana, per ritus et preces et per signa sensibilia.
Invito a leggere Desiderio Desideravi insieme al teologo e liturgista Romano Guardini e il Card, Giovanni Battista Montini arcivescovo della Chiesa milanese. Che scrisse la già menzionata lettera pastorale sull’educazione liturgica nel 1958.
Guardando questi due apporti che ci aiuteranno a leggere DD, sui temi della formazione alla liturgia e sulla formazione alla liturgia.
Guardini sostiene che la liturgia sia una forma vitale in atto.
Senza una forma, la vita spirituale intristisce, perde la sua freschezza, la sua forza, la sua unicità.
L’interesse di Guardini si concentra sulla forma, ma egli ha anche una preoccupazione per la formazione. Infatti, per Guardini il fondamento della formazione liturgica è la rivelazione che accade nell’epifania liturgica che diventa attuazione e quindi esperienza credente. La formazione liturgica, secondo Guardini, non deve riguardare in particolare la migliore espressione celebrativa, perché così non sarebbe forma ma sarebbe formula; questa è una distinzione interessante: non l’espressione, ma l’atto dove c’è l’azione liturgica con tutta la sua gamma di linguaggi. Quindi l’oggetto sarebbe la formula se fosse soltanto un’espressione celebrativa, invece l’autentica attuazione della forma è l’invito come atto vitale. Il punto centrale del pensiero liturgico di Guardini riguarda la concezione centrale del rito come luogo dello spogliamento dell’io per dare spazio a Dio, rivelatosi in Cristo è oggetto e soggetto dell’azione liturgica partecipata a noi per grazia. Questa centralità è ineludibile (= che non può essere evitato) per cui Guardini afferma che, partecipando alla liturgia l’uomo incontra Dio. Infatti il rito concede l’incontro con Dio, non attraverso la mia attuazione, mentre si celebra, per Guardini celebrare è l’atto vitale, atto gratuito, perché Dio si offre per grazia.
Parlare molto di preparazione, istruzione, educazione, afferma Guardini, rimanda continuamente l’uomo a sé stesso, lo fa gravitare intorno al proprio io, facendogli perdere lo sguardo liberatore verso Dio. La potenza formativa della liturgia, sta nel fatto che essa custodisce l’espressione di sé per tenere lo sguardo fisso su Dio creatore onnipotente che dispone tutto con ordine e con bellezza. La liturgia è il modo umano di stare di fronte a Dio con la fede, quindi per Guardini liturgia e fede sono due pilastri fondamentali inseparabili, perché la fede non nasce da me, nasce in me e si fa presente in me, perché Cristo è venuto nel mondo e la fede è inizio come movimento di corrispondenza suscitato da Dio stesso. È chiaro che nel pensiero di Guardini l’io deve essere spalmato, reso evanescente presente, perché è il corpo che celebra, ma non deve essere centrale. La formazione al celebrare, per Guardiani, deve puntare ad attualizzare il rito, cioè essendo presente nell’atto che si vive.
L’uomo agisce nella liturgia per la grazia di Dio, per cui il suo agire consiste nel lasciarsi fare da Dio. Il suo partecipare è un essere reso partecipe; il suo essere degno è un essere reso degno di partecipare. Guardini continua: Per essere formati altro non serve che prendervi parte, poiché la liturgia è una realtà nella quale si entra. L’azione liturgica opera non concetti o propositi buoni, ma l’irradiare, il vibrare, il farsi udibile all’orecchio, il visibile all’occhio, il tangibile alla mano, per signa sensibilia, è Dio che si rende visibile, udibile, percepibile non attraverso il concetto che abbiamo di Lui e non attraverso un proposito, una buona disposizione. Quindi è necessario restituire all’uomo il contatto con Dio, questo è la finalità della liturgia e avviene perché il essa l’uomo si sente toccato, chiamato dalla realtà divina, coinvolto in un rapporto di partecipazione con essa.
Dio agisce attraverso l’atto liturgico, l’uomo può solo goderne, se impara a porsi alla scuola del rito.
A) Formazione alla liturgia
È importante mettere a fuoco questo aspetto della formazione alla liturgia che non era presente in Guardini. Al n. 27 leggiamo: La questione fondamentale è, dunque, questa: come recuperare la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? La riforma del Concilio ha questo come obiettivo. La sfida è molto impegnativa perché l’uomo moderno – non in tutte le culture allo stesso modo – ha perso la capacità di confrontarsi con l’agire simbolico che è tratto essenziale dell’atto liturgico.
La capacità di vivere in pienezza la celebrazione liturgica dipende certamente dalla formazione liturgica perché poi sia una formazione alla liturgia. Queste due caratteristiche non si possono separare. Il pensiero di Guardini sembra essere propenso a tale separazione, ma deve essere un’implicanza: istruzione, educazione, formazione. Quindi, la capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica è l’obiettivo della Riforma Liturgica. Ricordo che la riforma dei libri liturgici non serve se non c’è un atteggiamento e una ricezione dello spirito della Riforma Liturgica.
Al n. 31 […] come crescere nella capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? Come continuare a stupirci di ciò che nella celebrazione accade sotto i nostri occhi? Abbiamo bisogno di una seria e vitale formazione liturgica.
Ricordiamo il concetto dell’atto vitale in Guardini!
Qui la formazione è un impegno per il formatore e per il formato.
35. È necessario trovare i canali per una formazione come studio della liturgia: a partire dal movimento liturgico molto in tal senso è stato fatto, con contributi preziosi di molti studiosi ed istituzioni accademiche. Occorre tuttavia diffondere queste conoscenze al di fuori dell’ambito accademico, in modo accessibile, perché ogni fedele cresca in una conoscenza del senso teologico della liturgia – è la questione decisiva e fondante ogni conoscenza e ogni pratica liturgica – come pure dello sviluppo del celebrare cristiano, acquisendo la capacità di comprendere i testi eucologici, i dinamismi rituali e la loro valenza antropologica.
Il Papa c’invita a far in modo che ogni fedele, soggetto di diritto, comprenda il suo ruolo nell’ars celebrandi e che prenda coscienza di non essere spettatore o semplicemente una persona che obbedisce agli ordini e risponde quando deve rispondere, ma il fedele sappia che ha un ruolo che è suo e che non deve essere usurpato da altri ministeri. I ministeri nella liturgia sono importanti, ma quello dell’assemblea celebrante è imprescindibile, eppure è quello meno formato. Infatti, ci si preoccupa della formazione a un servizio (es. Lettore; cantore; accolito ecc..) ma la formazione della ministerialità dell’assemblea in genere si tralascia nelle Chiese locali. Si dovrebbe studiare per trovare una modalità per rendere coscienti del loro ruolo le nostre assemblee liturgiche. Ne avveriamo l’urgenza nelle nostre comunità ecclesiali e anche nelle comunità religiose….?
Si coglie questo problema nei dialoghi durante le celebrazioni liturgiche. SC 30 Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio.
La cura di tutte queste parti crea il rito. È necessario ribadire che i fedeli, l’assemblea celebrante, ha un ruolo insostituibile e quindi ogni fedele ne deve prendere coscienza e questo è compito dei pastori con il loro modo di esercitare il servizio di presidenza. Questo è un servizio impegnativo che richiede mota pazienza, ma principalmente la coscienza della sua importanza fondamentale la deve avere il pastore.
Nei dialoghi durante la celebrazione è la sposa che risponde allo Sposo. (DD 35).
Purtroppo, si recepisce nel clero un timore verso la formazione dei laici.
B) Formazione liturgica alla maieutica cioè di accompagnamento dei fedeli
36 Penso alla normalità delle nostre assemblee che si radunano per celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore […]: i ministri ordinati svolgono un’azione pastorale di primaria importanza quando prendono per mano i fedeli battezzati per condurli dentro la ripetuta esperienza della Pasqua. Ricordiamoci sempre che è la Chiesa, Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote. La conoscenza che viene dallo studio è solo un primo passo per poter entrare nel mistero celebrato. È evidente che per condurre i fratelli e le sorelle, i ministri che presiedono l’assemblea devono conoscere la strada sia per averla studiata sia sulla mappa della scienza teologica sia per averla frequentata nella pratica di una esperienza di fede viva, nutrita dalla preghiera, di certo non solo come impegno da assolvere. Nel giorno dell’ordinazione ogni presbitero si sente dire dal vescovo: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore» (Cfr. Rituale dell’ordinazione del vescovo dei presbiteri e dei diaconi, Libreria Editrice Vaticana, 1992, pag. 184).
C) Formazione dalla liturgia
40 […] ciascuno, secondo la sua vocazione, dalla partecipazione alla celebrazione liturgica [sarà formato]. Anche la conoscenza di studio di cui ho appena detto, perché non diventi razionalismo, deve essere funzionale al realizzarsi dell’azione formatrice della Liturgia in ogni credente in Cristo.
La pienezza della nostra formazione è la conformazione a Cristo
41 […] non si tratta di un processo mentale, astratto, ma di diventare Lui. Questo è lo scopo per il quale è stato donato lo Spirito la cui azione è sempre e solo quella di fare il Corpo di Cristo. È così con il pane eucaristico, è così per ogni battezzato chiamato a diventare sempre più ciò che ha ricevuto in dono nel battesimo, vale a dire l’essere membro del Corpo di Cristo. Scrive Leone Magno: «La nostra partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo». (Cfr. Leo Magnus, Sermo XII: De Passione III,7).
La liturgia è fatta di cose di azioni, è un’esperienza e non un concetto astratto: è l’esperienza dell’incontro con Cristo in cui lo Spirito è tramite. È fondamentale che colui che presiede sia cosciente di essere il tramite, che chiede al Padre a nome dell’assemblea celebrante di mandare lo Spirito che tramuti il pane e il vino in Cristo risorto, cioè nel Vivente. Perché è il Vivente che poi la Chiesa dovrà testimoniare nella vita quotidiana: celebriamo ciò che viviamo, viviamo ciò che celebriamo.
È anche importante per colui che presiede e anche per coloro che concelebrano possedere una buona formazione patristica. Anche solamente una lettura delle Catechesi mistagogiche dei Padri, soprattutto quando si celebrano i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
La mistagogia nasce nel II/IV secolo per cui nello studio della liturgia è importante poter aver accesso agli scritti dei Padri della Chiesa.
42 Questo coinvolgimento esistenziale accade – in continuità e coerenza con il metodo dell’incarnazione – per via sacramentale. La liturgia è fatta di cose che sono esattamente l’opposto di astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra, stoffa, colori, corpo, parole, suoni, silenzi, gesti, spazio, movimento, azione, ordine, tempo, luce.
Il problema di Guardini è che la percezione sensibile venga coperta dall’astrazione. Questa rende difficile la percezione. Per cui non si riesce a percepire una celebrazione bella da una sciatta, disordinata, in cui al posto del Vivente c’è chi presiede o lo pseudo regista che non possiede le scansioni della celebrazione.
Non si è compreso che Cristo si è incarnato per essere percepibile ai nostri sensi. Ecco perché la liturgia è fatta di cose che, per via sacramentale diventano essenza del rito. Tutta la creazione è espressione dell’amore del Padre e per essere incontro con Dio, ma un Dio incarnato, crocifisso e risorto che poi è tornato al Padre.
Il fatto che DD accosti la materia liturgica alla creazione è molto importante, perché DD afferma che la problematica della non percezione dei simboli, o l’incapacità di controllo da parte dell’uomo dei simboli e anche per l’incapacità di conoscere Dio creatore, o di riconoscere le cose come creature, perché noi cooperiamo, ma non siamo i creatori dell’essenza, così anche la liturgia è qualcosa che è data dal Padre per il Figlio nello Spirito, ecco perché all’interno di essa non deve aver posto l’autoreferenzialità.
44 Scrive Guardini: «Con ciò si delinea il primo compito del lavoro di formazione liturgica: l’uomo deve diventare nuovamente capace di simboli». (R. GUARDINI, Formazione Liturgica, Brescia, 2022, pag. 60).
Quanto è difficile questo compito: oggi le persone comprendono i simboli che ruotano attorno all’informatica, all’intelligenza artificiale. Oggi abbiamo perso la capacità della lettura del simbolico, perché abbiamo perso lo stupore di fronte alla creazione. Purtroppo anche nelle celebrazioni liturgiche è entrato il concetto del già dato; del si è sempre fatto così; del celebrare al minimo della simbologia e questo rende superfluo insignificante ciò che facciamo. Pensiamo come tutto questo incide nel mondo degli adolescenti e dei giovani: c’era tutto, ma non c’era nulla!
Nella formazione alla liturgia basterebbe far comprendere ai fedeli la ricchezza dei testi eucologici (= i testi della preghiera: quelli detti maggiori: le preghiere eucaristiche e quelli detti minori: le orazioni presidenziali: colletta; orazione sulle offerte; orazione dopo la comunione).
Riprendiamo il testo di DD. 44.
Questo impegno riguarda tutti, ministri ordinati e fedeli. Il compito non è facile perché l’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza. Ciò accade anche con il simbolo del nostro corpo. È simbolo perché è intima unione di anima e corpo […] ma trattato in modo paradossale, ora curato in modo quasi ossessivo insegnando il mito di una eterna giovinezza, ora ridotto ad una materialità alla quale è negata ogni dignità.
Se una persona non è cosciente della dignità del suo corpo e, di conseguenza di quello altrui, come può comprendere quando gli si dice che è Corpo di Cristo. Questo concetto vale anche nel momento che in una catechesi si parla di paternità, per far comprendere la paternità di Dio. Infatti, si deve tener presente quali esperienze di paternità oggi possono avere i nostri uditori e chiarire bene il concetto di trascendenza: un conto è la paternità terrena, un conto è la paternità divina. Il linguaggio liturgico non è immanente, è sempre trascendente.
Ritorniamo a DD 44
Ogni simbolo è nello stesso tempo potente e fragile: se non viene rispettato, se non viene trattato per quello che è, s’infrange, perde di forza, diventa insignificante.
Il simbolo diventa fragile e quindi insignificante, quando si è incapaci di leggere la sua importanza, quando si è incapaci di offrirgli la giusta collocazione. La liturgia è fondata sulla capacità simbolica, se questa perde il senso, il rito non regge e diventa insignificante. La situazione più triste è quando si legge un rito insignificante, sciatto, come una bella celebrazione. Significa che abbiamo toccato il fondo. Siamo come una persona che si crede elegante e invece veste molto male, ma al quale nessuno può dire nulla perché manca di senso di autocritica.
DD 44 […] L’aver perso la capacità di comprendere il valore simbolico del corpo e di ogni creatura rende il linguaggio simbolico della Liturgia quasi inaccessibile all’uomo moderno. Non si tratta tuttavia, di rinunciare a tale linguaggio […] ma di recuperare la capacità di porre e di comprendere i simboli della Liturgia […]. Ora, la verità si dà sempre, siamo noi preti e suore che dobbiamo essere in grado di decodificare il linguaggio simbolico della Liturgia ed insegnare questa arte al popolo di Dio. Infatti, papa Francesco, sempre al n. 44 aggiunge: Non dobbiamo disperare, perché nell’uomo questa dimensione […] è costitutiva e, nonostante i mali del materialismo e dello spiritualismo – entrambi negazione dell’unità corpo e anima – è sempre pronta a riemergere, come ogni verità.
45. La domanda che ci poniamo è, dunque, come tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli vivere? Sappiamo bene che la celebrazione dei sacramenti è – per grazia di Dio – efficace in se stessa (ex opere operato) ma questo non garantisce un pieno coinvolgimento delle persone senza un adeguato modo di porsi di fronte al linguaggio della celebrazione (cfr. Ecclesiologia di Sacrosanctum Concilium) La lettura simbolica non è un fatto di conoscenza mentale, di acquisizione di concetti ma è esperienza vitale.
Per un battezzato celebrare non è soltanto un diritto, è anche un dovere: ecco perché egli si deve ritenere coinvolto.
Ora, se una persona non ha mai sentito il profumo dell’olio, non può immaginarselo. In una celebrazione sono importanti anche i sensi, come l’olfatto, il tatto, la vista. Purtroppo può capitare ancora che tra il presbiterio e l’assemblea esista una distanza che impedisca di vedere, di toccare, di sentire….Infatti, se durante un battesimo si percepisse il suono dell’acqua sarebbe performante (indicante), perché il popolo di Dio, attraverso il simbolo ha bisogno di creare empatia, di creare emozioni. La celebrazione in cui si sa leggere e vivere il simbolico, genera nel popolo di Dio il desiderio di tornare…. purtroppo la sciatteria celebrativa genera anche il senso contrario: non metterò più piede in questa chiesa!
46 Anzitutto dobbiamo riacquistare fiducia nei confronti della creazione. Intendo dire che le cose – con le quali i sacramenti ”sono fatti” – vengono da Dio, a Lui sono orientate e da Lui sono state assunte, in modo particolare con l’incarnazione, perché diventassero strumenti di salvezza, veicoli dello Spirito, canali di grazia […] dobbiamo predisporci nei loro confronti con uno sguardo nuovo non superficiale, rispettoso, grato. Fin dell’origine esse contengono il germe della grazia santificante dei sacramenti.
Non si tratta di avere esperienza, ma di avere fiducia nella creazione, non è facile, ma è importante, perché le cose con le quali i sacramenti sono fatti, vengono da Dio. Torniamo al punto: Creatore/creatura. Guardini insegna: Dio è il fattore, noi siamo i destinatari dell’azione divina e cooperiamo perché Dio si manifesti nell’ambito della celebrazione. Le cose sono state assunte da Dio, in modo particolare nell’incarnazione perché diventassero strumenti di salvezza, veicoli dello Spirito, canali di Grazia. Noi dobbiamo predisporci nei loro confronti, questo è l’atteggiamento di coloro che hanno fiducia e con uno sguardo che non è superficiale. Questo deve essere un impegno per ogni cristiano.
47 Altra questione decisiva – sempre riflettendo su come la Liturgia ci forma – è l’educazione necessaria per poter acquisire l’atteggiamento interiore che ci permette di porre e di comprendere i simboli liturgici. Lo esprimo in modo semplice. Penso ai genitori e, ancor più, ai nonni, ma anche ai nostri parroci e catechisti. Molti di noi hanno appreso la potenza dei gesti della liturgia – come ad esempio il segno della croce, lo stare in ginocchio, le formule della nostra fede – proprio da loro. Forse non ne abbiamo il ricordo vivo, ma facilmente possiamo immaginare il gesto di una mano più grande che prende la piccola mano di un bambino e la accompagna lentamente nel tracciare per la prima volta il segno della nostra salvezza.
Al movimento si accompagnano le parole, anch’esse lente, quasi a voler prendere possesso di ogni istante di quel gesto, di tutto il corpo: «Nel nome del Padre…e del Figlio…e dello Spirito Santo…Amen». Per poi lasciare la mano del bambino e guardarlo ripetere da solo, pronti a venire in suo aiuto, quel gesto ormai consegnato, come un abito che crescerà con lui, vestendolo nel modo che solo che solo lo Spirito conosce.
Questo è un dato che richiama i concetti precedenti: l’educazione liturgica avviene nella fase della catechesi sacramentale. Infatti, se la comunità cristiana fa sperimentare un’esperienza liturgica ai bambini e agli adolescenti che abbia un senso, in tutte le tappe (penso al metodo esperienziale scout e qui parlo per esperienza; oppure alla formazione liturgica esperienziale con i gruppi dei ministranti) dovrà essere adottato il metodo del giuoco serio, attraverso il quale far apprendere la teologia liturgica, invece che tenere i ragazzi all’interno di un’aula di catechismo costretti ad ascoltare una noiosa lezione!
L’educatore può essere il parroco, un genitore, un catechista, un capo scout, purtroppo non si può dire di un maestro di scuola, perché questa è discriminante verso la Chiesa e qui ci sarebbe da dire molto, anche per quanto riguarda la scuola cattolica…….!
Il grande educatore è quello che è sempre accanto a colui che deve educare, ma mai si sostituisce a lui. Del resto, il grande educatore, Gesù di Nazaret, usò lo stesso metodo con i suoi discepoli.
Sempre il n. 47 […] Da quel momento quel gesto, la sua forza simbolica, ci appartiene o, meglio dire, noi apparteniamo a quel gesto, ci dà forma, siamo da esso formati. Non servono troppi discorsi, non è necessario aver compreso tutto di quel gesto: occorre essere piccoli sia nel consegnarlo sia nel riceverlo. Il resto è opera dello Spirito. Così siamo stati iniziati al linguaggio simbolico. Di questa ricchezza non possiamo farci derubare. Crescendo potremo avere più mezzi per poter comprendere, ma sempre a condizione di rimanere piccoli.
Quel gesto diventa un carico di simboli, diventa appartenenza: siamo noi che apparteniamo a quel gesto, perché ci forma, siamo da esso formati, diventiamo noi quella croce. Occorre essere piccoli, l’umiltà dell’educatore e l’umiltà dell’educando: piccoli sia nel consegnarlo, sia nel riceverlo Il rito ci libera dall’autoreferenzialità, come afferma Guardine, se noi lo permettiamo. Il resto è opera dello Spirito.
Siamo nel 1958. L’arcivescovo parla ai suoi fedeli nel tempo di Quaresima con la stessa modalità con cui abbiamo trattato il nostro tema in Desiderio Desideravi.
Montini afferma che
10 “la Liturgia dimostra una stupenda capacità formativa che fa sua e potenzia l’istruzione religiosa dei piccoli e degli adulti, della gente semplice e degli uomini di cultura […]”. La formazione è performativa, cioè la liturgia la bisogno dell’istruzione e della formazione.
La formazione ha bisogno dell’istruzione e della comunicazione
“Benché lo scopo della Liturgia non è quello di educare, ma di mettere in comunicazione con Dio, essa tuttavia, in questo modo, ci mette nel giusto rapporto con tutta la realtà che è intorno a Lui e che per Lui sussiste”.
Si nota come in Desiderio Desideravi sia presente questa fonte. Infatti, il papa afferma che la liturgia non è pedagogica. Inoltre Francesco parla di comunicazione con Cristo, essere Cristo e cimette in rapporto con tutta la creazione.
12. […] bisogna far in modo che la preghiera della Chiesa rifiorisca,,,,bisogna che l’azione divina, dottrinale e sacramentale, risponda alla cooperazione umana, non solo del Clero, ma anche dei fedeli in modo che risulti mirabile fusione ed equilibrio tra l’opus operatum (= ciò che fa Dio) e l’opus operantis (=ciò che fa la Chiesa) ….
13 Ora: possiamo noi dira che oggi questa partecipazione del popolo cristiano alla prima e sublime preghiera della Chiesa è in atto? Montini si pone questo interrogativo già nel 1958!
Il 29 giugno 2022 la stessa domanda è posta da papa Francesco. La stessa domanda la pose Pio X e la stessa domanda la pose anche Sacrosanctum Concilium. Forse sarebbe opportuno curare di più questi punti, sia per il clero e poi per il popolo di Dio, ma prima è urgente riprendere la formazione del clero, qui mi ritornano alla mente le Conferenze del martedì di san Vincenzo: egli aveva capito che se il clero non è sufficientemente formato nell’ecclesiologia del Concilio, il lavoro pastorale può rivelarsi inutile. Anche perché un clero refrattario all’ecclesiologia del Concilio teme il laico formato alla teologia pastorale del Concilio, perché questi potrebbe far emergere il vero volto di un clero simile.
Noi Preti della Missione, in Italia abbiamo due opere che riguardano la formazione del clero: il Collegio Alberoni di Piacenza e il Convitto Ecclesiastico a Roma nel Collegio Leoniano. Come rettore del Convitto ecclesiastico noto come sia importante educare i preti giovani in nello spirito della Riforma liturgica, ma questo deve essere curato assiduamente e quotidianamente, per vivere ciò che san Vincenzo ci ha raccomandato.
21 Occorre, innanzitutto curare bene l’assemblea liturgica. Bisogna che essa assuma, quanto meglio è possibile l’aspetto ed abbia il senso di comunità. La liturgia non è azione dei soli sacerdoti, ma anche dei fedeli, nelle forme di partecipazione loro proprie […]
22 Tutto questo reclama premure, che sembrano di semplice valore organizzativo: l’orario, specialmente ben studiato secondo l’opportunità dei fedeli, fisso e sobrio; poi la luce, i banchi, la disposizione locale dei fedeli, la centralità dell’altare; ma queste premure hanno un riferimento alla nostra riunione che potremmo chiamare teologica: si tratta di comporre quel popolo di Dio che forma la Chiesa.
Come animare un’assemblea? Prima di tutto facendola partecipare al proprio ministero. Poi diciamo che l’assemblea riunita è segno della Chiesa sposa di Cristo, ma poi in effetti possiamo affermare che tutto questo sia visibile? Si nota dalla coesione dell’essere soggetto celebrante durante le azioni liturgiche, in cui la coesione non mortifica la persona, anzi la promuove perché le fa sperimentare di essere soggetto ecclesiale. Questo perché il clero deve insegnare che durante le celebrazioni liturgiche la privacy non esiste. Le persone sono parte di una Chiesa che celebra e non si devono compiere azioni e preghiere che neghino questa appartenenza. Il clero deve infondere nei fedeli la coscienza di essere Chiesa.
Non possiamo accontentarci d’avere il tempio pieno di gente, d’avere una folla amorfa di presenti, una massa insignificante che assiste, spiritualmente distratta, o senza interiore unità, al sacro rito. Dobbiamo tendere a dare compostezza ai presenti, un ordine, una coscienza, così da costituire l’atmosfera sacra nella quale il rito religioso si svolge. Né si tratta di esigere il semplice contegno educato, come si richiede per uno spettacolo; occorre infondere in tutti il senso d’un’azione comune, appunto d’una partecipazione.
Non è facile il lavoro per far ricuperare il senso di unità all’assemblea, però Montini afferma che è fondamentale il recupero di questa forma, perché i fedeli debbono rendersi conto di essere Chiesa, di essere sposa di Cristo, in modo che, nel dialogo con colui che presiede questo sia sempre più manifesto: pensiamo all’Amen al termine della dossologia!
Vediamo come per Montini la formazione liturgica è formazione alla Chiesa che egli pone al centro del suo pensiero nel segno dell’assemblea celebrante. Si potrebbe dire che la visione ecclesiologica montiniana, completa la visione ecclesiologica di Guardini.
48 Un modo per custodire e per crescere nella comprensione vitale dei simboli della Liturgia è certamente quello di curare l’arte del celebrare […]
Come avviene la presa di coscienza da parte di un’assemblea di essere Chiesa? Tramite l’ars celebrandi.
50 Da questi brevi cenni, risulta evidente che l’arte del celebrare non si può improvvisare. Come ogni arte richiede applicazione assidua […].
Questo è il motivo per cui l’ars celebrandi non si può improvvisare, perché deve essere un’applicazione quotidiana: s’impara mentre si celebra, si tratta di una formazione permanente. È necessario chiedere allo Spirito Santo la grazia di non sentirci mai degli arrivati nell’ars celebrandi e che ci conceda di chiedere, di osservare, di imparare dai maestri di liturgia per non cadere nel peccato di autoreferenzialità: usare il rito per sedersi al primo posto, che poi è l’occasione per far notare a chi è preparato che tu non hai capito nulla di quello che hai celebrato e purtroppo i segni si notano, perché la simbologia non è rispettata.
È anche necessario comprendere che l’Ordinario Generale del Messale Romano ed i praenotanda dei singoli Rituali, sono la base su cui costruire l’arte del celebrare. È fondamentale conoscere la teologia liturgica che sottostà alle rubriche!
Al n. 50 leggiamo: Ogni strumento può essere utile, ma deve sempre essere sottomesso alla natura della Liturgia e all’azione dello Spirito. Occorre una diligente dedizione alla celebrazione lasciando che sia la celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte. Scrive Guardini: «Dobbiamo renderci conto di quanto profondamente siamo ancora radicati nell’individualismo e nel soggettivismo, di quanto siamo disabituati al richiamo delle grandezze e di quanto sia piccola la misura della nostra vita religiosa. Deve risvegliarsi il senso dello stile grande della preghiera, la volontà di coinvolgere anche in essa la nostra esistenza. Ma la via verso queste mète è la disciplina, la rinuncia ad una sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso». (cfr. R. GUARDINI, Formazione Liturgica, Brescia, 2022, p. 139).
A che punto siamo? L’intenzione interiore funziona come manifestazione dell’arte del celebrare. Esserci, significa io sono qui, ora hic et nunc! Sono presente all’azione liturgica? Questa domanda è da porre a ciascun componente dell’assemblea celebrante: prete e fedeli.
La partecipazione attraverso una forma particolare da all’assemblea l’opportunità di rendersi conto che è il Corpo di Cristo: l’acclamazione!
Noi sappiamo che la partecipazione liturgica genera l’appartenenza, nel senso che la rende attiva, piena e consapevole, come esperienza celebrativa ecclesiogenetica che genera e qualifica la Chiesa, rendendola visibile come corpo orante che prega e canta riunita in Assemblea attorno all’unico Altare. L’appartenenza alla Chiesa è promozione del sentire cum Ecclesia è priorità pastorale nel contesto della celebrazione liturgica.
L’Assemblea come Corpo di Cristo congregato per vivere l’esperienza più concreta del suo essere parte per poter prendere parte all’Evento attuale del Mistero pasquale. Avviene il passaggio fondamentale dall’individuo al noi ecclesiale. Dalla preghiera alla vita, questo avviene in una partecipazione attiva: la mente ed il cuore – come affermava san Benedetto – debbono essere uniti Cfr. SC. 11).
Infatti, nel partecipare attivamente alla liturgia il fedele mette in giuoco un livello di investimento integrale della sua persona, poiché si tratta di un’attiva, piena e consapevole partecipazione sia interna che esterna (SC. 19).
15 «[…] Questa partecipazione:
a) deve essere prima di tutto interna: e per essa i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunziano e ascoltano e cooperano con la grazia divina (SC 11).
b) deve però essere anche esterna e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i gesti e l’atteggiamento del corpo, le acclamazioni, il dialogo ed il canto (SC30).»
È chiaro che quando si parla di partecipazione interna non s’intende devozionale: io che ascolto al mia Messa, ma invece non c’è cosa più attiva di una partecipazione interna ed integrale ad una celebrazione. Infatti, si tratta di una partecipazione intenzionale, in cui la persona, nella sua totalità dell’essere è parte attiva in una celebrazione, è parte attiva dell’assemblea celebrante.
Infatti, è una partecipazione liturgica alla prova: la complessa percezione dell’esperienza del noi nel contesto culturale contemporaneo.
Per il recupero dell’identità dell’assemblea liturgica: osservazione del fenomeno liturgico della congregatio Ecclesiae in modo da far riappropriare l’Assemblea della sua identità di Corpo che celebra il Signore.
Costituzione Liturgica Sacosanctum Concilium (1963).
Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi, anche a tempo debito, un sacro silenzio (SC 30).
Acclamare in modo cosciente concede all’assemblea di ricoprire, come Chiesa, il ruolo di Sposa di Cristo.
L’acclamazione dipende anche molto dalla presidenza. Infatti, se la dossologia è proposta in un modo piatto: la patena e il calice sono appena sollevati – ricordate il pericolo di presiedere al minimo indispensabile? – la dossologia non è cantata, ma anche se è pronunciata, lo si compie in un modo che manifesta: finalmente è terminata la preghiera eucaristica, siamo quasi al termine della celebrazione, non si può pretendere che l’assemblea celebrante acclami un Amen come si dovrebbe, anzi meno male che qualcuno si ricorda di dire Amen! Teniamo presente che, purtroppo, una comunità cristiana è lo specchio del proprio pastore.
non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua fede. Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, secondo questo ordine:
Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre, le antifone, i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici
Carissimi/e,
chiedo scusa per la lunghezza di questa nona ed ultima parte dell’Ars celebrandi, purtroppo non ho avuto altra scelta.
Spero che risulti utile per la vostra vita cristiana e nel vostro lavoro pastorale e servizio dei poveri.
La cura delle celebrazioni manifesta per una alta percentuale la vita di una parrocchia e anche quella delle nostre Case. Perché la liturgica è fonte e culmine della vita cristiana e quindi anche della nostra.
Le nostre celebrazioni dovrebbero attirare le persone che vivono vicino alle nostre Case e alle nostre parrocchie. Deve essere bello, per i laici, pregare con noi! La nostra liturgia manifesta la nostra realtà di vita i fratelli che vivono insieme, oppure un gruppo di persone residenti, in cui prevale la legge del più forte.
In questo momento difficile in cui sembra che in Italia il nostro carisma stia morendo, tramite le nostre celebrazioni, permetteremo ai giovani che lo Spirito Santo chiama a servire la Chiesa secondo il carisma di san Vincenzo e santa Luisa, (e non sono pochi!), a rispondere alla chiamata che hanno ricevuto, ma è necessario cucire abiti nuovi per poter inserire le toppe nuove. Io credo che in Italia, nonostante ciò che appare, lo Spirito Santo continui a chiamare giovani a vivere come Preti della Missione e Figlie della Carità…forse il problema è nostro più che loro!
Mi permetto di proporvi una meditazione che io seguo spesso nel mio cercare di seguire il Risorto.
Rileggendo il grande libro: I Promessi Sposi proviamo a chiederci in quali personaggi ci ritroviamo: in P. Cristoforo, nel Cardinal Federigo oppure in don Abbondio o nel P. Provinciale dei Cappuccini?
In Renzo, oppure in don Rodrigo, nel conte zio o meglio nell’avvocato Azzeccagarbugli?
Auguro a tutti/e di vivere bene il Tempo Ordinario. Buon lavoro.
Di p. Giorgio Bontempi C.M.