Lettera di Quaresima 2025

Nel cammino quaresimale, P. Tomaž Mavrič, CM, ci invita a riflettere sulla resilienza e la trasformazione interiore attraverso l’ispirante esperienza dei sopravvissuti delle Ande. Come San Vincenzo de’ Paoli ha coltivato le cinque virtù vincenziane – semplicità, umiltà, mitezza, mortificazione e zelo apostolico – anche noi siamo chiamati a far fiorire il nostro giardino spirituale, trasformando le prove in opportunità di crescita. Un messaggio profondo che ci guida verso la Pasqua con fede rinnovata e spirito vincenziano.

«Quando ci sentiamo completamente abbandonati, il nostro giardino inizia a produrre i fiori più belli mai immaginati»

SOPRAVVISSUTI!

 

Cari membri della Famiglia vincenziana,

 

La grazia e la pace di Gesù siano sempre con noi!

Sopravissuti è il titolo di un film del 1993, basato sulla storia vera di una squadra di rugby uruguaiana che, insieme a parenti e amici, si recava in Cile per una partita. Il venerdì 13 ottobre 1972 l’aereo si è schiantato sulle Ande.

Sorvolando le Ande, all’uscita dalle nuvole, l’aereo ha incontrato una turbolenza ed è entrato in collisione con una montagna. Le ali e la coda si sono staccate dalla fusoliera, che è scesa giù per un pendio di montagna prima di fermarsi. Sei passeggeri e un membro dell’equipaggio sono stati proiettati fuori dall’aereo e sono morti. Altre sei persone sono decedute rapidamente, compresi i due piloti. I sopravvissuti si sono rifugiati nella fusoliera e per riscaldarsi si sono stretti l’uno accanto all’altro. Due passeggeri sono morti durante la notte. Non avendo niente da cacciare o da raccogliere sulla montagna, uno dei sopravvissuti ha proposto di razionare una scatola di cioccolatini e una cassa di vino che avevano trovato.

Più tardi, durante la settimana, una valanga ha colpito l’aereo e ha riempito di neve gran parte dell’interno. Otto dei sopravvissuti sono stati soffocati dalla neve. I 22 sopravvissuti sono stati costretti a rimanere all’interno dell’aereo quando si sono resi conto che fuori c’era una tempesta di neve. Nelle settimane successive, altri sei passeggeri sono morti.

Uno dei sopravvissuti, che viaggiava con la madre e la sorella, ha ripreso conoscenza. Dopo aver saputo della morte della madre, si è preso cura della sorella con grande dedizione. Circa due mesi dopo l’incidente, sapendo che sarebbe morta nei giorni successivi a causa delle ferite riportate, ha deciso di partire a piedi e trovare una via per uscire dalle montagne. Un altro passeggero l’ha accompagnato.

Dopo 12 giorni di cammino con temperature sotto lo zero, con indumenti e scarpe inadeguate, i due uomini hanno allertato le autorità informandole del luogo in cui si trovavano i loro compagni. Due elicotteri, uno dei quali con i due sopravvissuti a bordo, sono apparsi sopra di loro, portando gli altri 14 sopravvissuti a festeggiare il loro imminente salvataggio. Delle 45 persone che si trovavano a bordo dell’aereo, solo 16 sono sopravvissute, dopo 72 giorni di freddo glaciale fino a -40° C.

Guardando il film Sopravissuti e rileggendo di recente gli appunti che avevo preso dopo averlo visto diverse volte quasi 30 anni fa, ho capito che cosa esprime il titolo della lettera quaresimale di quest’anno: «Quando ci sentiamo completamente abbandonati, il nostro giardino inizia a produrre i fiori più belli mai immaginati!»

Nonostante l’abbandono totale provato dai sopravvissuti dopo l’incidente e nello scorrere dei giorni che passavano senza un segno di speranza, c’era sempre Qualcuno che, poco a poco, li aiutava a capire e a vedere la realtà che stavano vivendo sotto una luce diversa, come hanno detto i sopravissuti nelle interviste. «Ora, c’è il Dio di cui mi avevano parlato a scuola, e c’è il Dio che si nasconde da ciò che ci circonda in questa civiltà. È il Dio che ho incontrato sulla montagna». «Sono stati due mesi e mezzo di un lungo ritiro spirituale». «Attraverso momenti di disperazione, di parole e pensieri volgari, lampi dell’assurdità della vita, delusioni, Gesù ci ha condotto progressivamente sulla via della luce, all’incontro con il Dio vivente». «Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te….Quante volte, congelati da temperature sotto lo zero, abbiamo pregato insieme, ragazzi, sportivi, pieni di vita e di sogni, e iniziato ad approfondire la nostra fede costruendola su Dio». «Gesù ci parlava. Quante volte l’avevamo sentito nell’alba e nel tramonto, nelle notti limpide, quando la luna piena irradiava la sua luce davanti ai nostri occhi, la sua presenza misteriosa attraverso la maestosità delle montagne, la realtà continua del ghiaccio e della neve tutto intorno a noi, le tempeste di neve e le valanghe. Gesù ci parlava e noi avevamo cominciato a capire quello che voleva comunicarci». «Avevamo cominciato a capire Gesù, nonostante le continue morti di parenti e amici davanti ai nostri occhi, siamo arrivati al momento che abbiamo chiamato un’esperienza mistica!» Siamo passati da un senso di totale abbandono al giardino interiore che ha iniziato a far crescere i fiori più belli mai immaginati.

Come i sopravvissuti dell’incidente aereo sulle Ande, san Vincenzo de Paoli, mistico della Carità, dopo un’esperienza personale con Gesù, ha iniziato a far crescere nel proprio giardino cinque bellissimi fiori che hanno portato ad un’“esperienza mistica”. Questi fiori si chiamano: semplicità, umiltà, mitezza, mortificazione e zelo per la salvezza delle anime.

Vincenzo ha chiamato questi cinque bellissimi fiori del nostro giardino «le cinque levigatissime pietre» (Regole comuni XII, 12), in riferimento alle pietre con cui Davide ha sconfitto Golia. Davide rappresenta il bene, tutto ciò che viene da Dio, e Golia rappresenta il male, le nostre tentazioni, il nostro egocentrismo, tutto ciò che cerca di combattere e di ignorare Gesù. I cinque bellissimi fiori, le cinque belle pietre di Davide, le cinque virtù, diventano parte delle fondamenta del pellegrinaggio di fede di Vincenzo, quella che oggi chiamiamo spiritualità vincenziana.

I sopravvissuti sono stati guidati da Gesù stesso attraverso un ritiro spirituale di 72 giorni e, dopo essersi sentiti totalmente abbandonati, hanno iniziato ad acquisire le cinque virtù mettendosi nelle mani di Gesù e aprendosi all’”esperienza mistica”.

Quando l’unico cibo a loro disposizione sull’aereo, del cioccolato e del vino, è venuto a mancare, i sopravvissuti si sono trovati di fronte a un grande dilemma, mai affrontato prima: dovevano iniziare a mangiare la carne dei morti per rimanere in vita e recuperare le forze per i loro corpi completamente esausti e indeboliti? Dopo numerose discussioni, repulsione fisica e dubbi, i cinque fiori del giardino di ciascuno di loro sono iniziati a sbocciare.

Il fiore della semplicità, che ci permette di essere e presentarci davanti agli altri come Gesù sogna che siamo, senza vergogna o sentimento di inutilità. «Ah ! La semplicità, che non ha altro sguardo se non quello di Dio e che non fa mostra di sé» (SV, Conferenza del 22 agosto 1659, n. ed. it., XII, p. 582).

Il fiore dell’umiltà, con il quale riconosciamo e accettiamo con gioia che noi, come esseri umani, non siamo onnipotenti, onniscienti o capaci di realizzare tutto ciò che vogliamo, ma che c’è Gesù che ha l’ultima parola e che sa meglio di noi. «L’umilità…, consiste nel riconoscere il proprio niente davanti a Dio, distruggendo l’amor proprio e facendo spazio a Dio nel proprio cuore; nel non cercare la stima e la buona reputazione degli uomini; e nel contrastare assiduamente i moti di vanità» (SV, Conferenza del 22 agosto 1659, n. ed. it., XII, p. 578).

Il fiore della dolcezza che sboccia quando ci rendiamo conto che qualsiasi comportamento contrario alla dolcezza non può portare a nulla di buono, ma porta tanta discordia, sofferenza e dolore. «La mitezza non soltanto ci porta a scusare le ingiustizie e gli affronti che riceviamo, ma vuole anche che trattiamo con dolcezza chi ce li procura, usando con loro parole amabili» (SV, Conferenza del 28 marzo 1659, n. ed. it., XII, p. 494).

Il fiore della mortificazione, per cui rinunciamo alle cose e alle persone a cui siamo legati in modo pernicioso e offriamo i nostri momenti di prova, i nostri dolori e le nostre lotte per aiutare gli altri in situazioni molto più difficili. « In effetti, tutti siamo più sensibili al dolore che al piacere e sentiamo più la puntura di una rosa che il suo profumo. Il mezzo per eliminare tale differenza è di abbracciare volentieri ciò che mortifica la natura e spogliarsi di ciò che le piace; e infine piegare il cuore alla sofferenza, sia considerando i vantaggi che essa porta, sia tenendosi sempre pronti a riceverla, in modo che quando arriva non siamo né sorpresi, né rattristati.» (SV, Lettera del 13 agosto 1650, in Opere, n.ed it, IV, p. 43).

Il fiore dello zelo per la salvezza delle anime, affinché ogni essere umano nel mondo possa un giorno raggiungere il cielo. «Lo zelo è la quinta massima evangelica. Essa consiste nel puro desiderio di essere graditi a Dio e utili al prossimo: zelo per estendere il regno di Dio sulla terra e zelo per procurare la salute del prossimo. C’è qualcosa di più perfetto al mondo? Se l’amor di Dio è un fuoco, lo zelo ne è la fiamma; se l’amore è un sole, lo zelo ne è un raggio. Lo zelo è quanto di più puro c’é nell’amore di Dio» (SV, Conferenza del 22 agosto 1659, n. ed. it., XII, p. 580).

I sedici giardini dei sedici sopravvissuti, ciascuno con i cinque fiori più belli mai immaginati, hanno preparato il momento in cui non solo hanno accettato di mangiare la carne dei passeggeri morti per rimanere in vita, ma la loro accettazione è andata molto oltre, toccando il cuore della loro fede e imitando Gesù. Come Gesù ha dato il suo corpo e il suo sangue affinché noi restassimo in vita, così noi dobbiamo dare la nostra carne e il nostro sangue agli altri perchè rimangano in vita e vivano. «Rispetto all’argomento di oggi, per convincerci della realtà del cor­po e del sangue di Nostro Signore in questo sacramento, basta con­siderare quello che è scritto in san Giovanni: “Questo è il mio cor­po, questo è il mio sangue; il pane che vi do è il mio corpo e il vi­no il mio sangue”. Nessuno dubita di tale verità, eccetto gli ere­tici, che la interpretano in altro senso. Nostro Signore stesso ce l’as­si­cura, persino con giuramento, dicendo che chi non mangerà la sua carne e non berrà il suo sangue non avrà la vita eterna» (SV, Conferenza del 27 maggio 1655, n. ed. it., XI, p. 164-165).

Hanno raggiunto un accordo comune non solo per mangiare la carne di coloro che erano già morti, ma anche per offrire insieme il loro proprio corpo come cibo se fossero morti, in modo che altri potessero rimanere in vita e vivere. È diventata una “comunione mistica, un’esperienza mistica!”.

Mentre entriamo in Quaresima, vi suggerisco, se possibile, di vedere il film Sopravvissuti, disponibile online per chi ha accesso a Internet, o leggere il libro scritto su questa esperienza, per aiutarci a pregare, a riflettere e meditare durante la nostra preparazione alla Pasqua.

Un gruppo di sopravvissuti è poi tornato sul luogo dell’incidente e ha sepolto i resti dei corpi sotto un mucchio di pietre, con una croce in memoria delle 29 persone decedute e dei 16 sopravvissuti: Un solo corpo in Gesù Cristo! Amen.

 

Vostro fratello in san Vincenzo,
Tomaž Mavrič, CM
Superiore generale

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