Tutti i Santi non è la parata dei “migliori”, ma la mappa della vita buona tracciata da Gesù sul monte: poveri in spirito, miti, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati per la giustizia. Per san Vincenzo de’ Paoli questa è la regola d’oro del discepolo: le parole diventano gesti—una mano che solleva, un orecchio che ascolta, piedi che vanno dove la povertà brucia.
La santità vincenziana profuma di casa, corsia, strada: è stile semplice che chiama per nome l’altro, mitezza che disarma, umiltà che non occupa il centro, mortificazione come sobrietà libera, zelo che organizza la carità. Le cinque virtù della tradizione (semplicità, umiltà, mansuetudine, mortificazione, zelo) non decorano: formano.
L’Apocalisse mostra vesti candide; il Vangelo ricorda come si imbiancano: nel servizio. La comunione dei santi, in prospettiva vincenziana, assomiglia a una tavolata dove ognuno porta qualcosa di sé: tempo, competenze, una ferita diventata consolazione.
La carità di Vincenzo non è filantropia: è incontro con Cristo presente nel povero. Per questo Eucaristia e Parola non distraggono dal servizio: lo accendono. Pregare e servire non sono due binari paralleli: sono la stessa strada. La contemplazione sull’altare apre gli occhi a Cristo nelle periferie; il contatto con la carne ferita rende l’altare meno rituale e più reale.
Il carisma vincenziano è lievito: non si vede, ma fa crescere il pane. Lo riconosci quando una parrocchia diventa più accogliente, una comunità religiosa ascolta le domande dei giovani, un gruppo laicale inventa vie nuove per visitare i malati, tutelare i fragili, accompagnare i migranti.
Oggi la povertà ha volti complessi—solitudini digitali, scarti educativi, precarietà abitativa, ferite psichiche, migrazioni forzate, nuove dipendenze. La santità che celebriamo non si spaventa: impara, si forma, crea reti. È creativa come Vincenzo: capace di istituzioni e di grembiule, di ascolto e di coraggio.
1) Semplicità che apre porte
Parole brevi, gesti chiari, tempi onesti. Niente maschere, niente doppi registri. La semplicità è la grammatica della fiducia.
2) Mansuetudine che ricuce
Trasforma un conflitto in dialogo: chiama chi eviti da tempo, chiedi scusa senza “ma”, cerca un accordo possibile. La mitezza non è debolezza: è forza che ha scelto la pace.
3) Zelo che organizza la carità
Non basta “fare del bene”: metti in calendario una visita, una collaborazione con i servizi del territorio, un micro-progetto insieme (parrocchia, scuola, associazioni). Lo zelo vincenziano ha sempre un piano e compagni di viaggio.
Questa festa dice a ogni battezzato: tu puoi, non perché basti a te stesso, ma perché lo Spirito plasma il cuore con pazienza e fantasia. I santi non sono statue immobili: sono strade percorribili. Ogni Beatitudine ha bisogno di mani e di voce: scuola, ospedale, condominio, ufficio, autobus delle 7 possono diventare luoghi di santità quotidiana.
In chiave vincenziana, dire “Tutti i Santi” significa anche dire “tutti i poveri”: non perché la povertà valga in sé, ma perché il Regno parte da lì. È lì che l’amore cristiano diventa credibile. E quando una comunità impara a servire i più piccoli, tutti diventano più grandi. In fondo, ciò che “conta” è incontrare il Risorto e entrare nel suo paradiso.
Signore Gesù,
che nelle Beatitudini ci mostri il volto della santità,
donaci occhi semplici e cuore mite, mani pronte a servire.
Fa’ che nell’Eucaristia impariamo il tuo stile
e nei poveri riconosciamo la tua presenza.
Per intercessione di san Vincenzo de’ Paoli e santa Luisa de Marillac,
rendici grembiule e lieta notizia. Amen.
Oggi, la festa di Tutti i Santi ci affida un compito semplice e immenso: diventare, con altri e per gli altri, una Beatitudine vivente. È così che la santità scende in strada, cambia il passo delle nostre comunità e fa respirare di più il mondo. E, nello stile vincenziano, questo passa anche dal custodire e far crescere la memoria dei nostri testimoni: san Vincenzo de’ Paoli e santa Luisa de Marillac, santa Caterina Labouré, san Giustino de Jacobis, san Francesco Regis Clet, san Giovanni-Gabriele Perboyre, i beati e i martiri della Famiglia Vincenziana. Studiamone la vita e gli scritti, celebriamone le memorie liturgiche e lasciamoci convertire dal loro stile di carità creativa, perché la loro esperienza diventi scuola di Vangelo per noi oggi.