«Vocazione missionaria»: mistero di chiamata, consacrazione e invio nel solco vincenziano

Ottobre, mese missionario, volge al termine: è tempo di raccogliere quanto lo Spirito ha seminato in noi per l’evangelizzazione dei poveri. Alla luce del Vangelo e del carisma vincenziano, rinnoviamo la coscienza di essere chiamati, consacrati e inviati. Queste pagine offrono una meditazione teologico-liturgica sulla vocazione missionaria, perché il fuoco acceso in ottobre continui a bruciare tutto l’anno.

Origine teologale della chiamata

La vocazione missionaria, nel carisma di San Vincenzo, non nasce da iniziativa privata ma dall’eterna volontà di Dio che chiama e destina. È Dio l’“eterno chiamante” che convoca alla sequela di Cristo evangelizzatore dei poveri; perciò il luogo della fedeltà non è un’idea ma una appartenenza: la Missione è il “dove Dio ci vuole” e in essa si cercheranno la consolazione e la perseveranza, purché la chiamata sia genuina e non interessata.

Questa prospettiva teologale orienta l’intera ermeneutica della cultura vocazionale: primato della volontà di Dio e discernimento per riconoscere i Suoi segni nella storia concreta; non reclutamento, ma ascolto dello Spirito che configura a Cristo e invia.

Cristologia della Missione: Lc 4,18 come kérygma e forma

Nel Vangelo proclamato a Nazaret (Lc 4,18) Cristo si manifesta come Inviato ai poveri; Vincenzo assume questo passo come programma e “forma” della propria esistenza e delle opere nate dal carisma. Tutti i ministeri vincenziani – missioni popolari, riforma del clero, servizio della carità – sono intelligibili solo a partire da qui: seguire Gesù Cristo, evangelizzatore dei poveri.

Gli eventi-sorgente del 1617 (Folleville e Châtillon) sono il paradigma di una pedagogia vocazionale: “uscire, vedere, chiamare” – dinamica pasquale che libera dal ripiegamento e fa della Chiesa un popolo in uscita verso i piccoli.

Ecclesiologia di comunione e invio

La vocazione missionaria è ecclesiale: nasce nella Chiesa e per la Chiesa, si alimenta nella comunione e si esprime in un’ampia sinergia di carismi e stati di vita (confratelli, Figlie della Carità, laici della Famiglia Vincenziana). Gli Statuti ribadiscono la corresponsabilità nelle missioni ad gentes, la preparazione ai contesti culturali, il dialogo con il clero e i laici, e la cura della formazione teologico-spirituale per un servizio adeguato ai tempi.

Nel cuore di questa ecclesiologia sta il voto/proponimento di stabilità: donarsi totalmente alla sequela di Cristo evangelizzatore dei poveri e rimanere nella Congregazione per tutta la vita; è un atto liturgico-ecclesiale che sigilla la missione come culto spirituale gradito a Dio.

Spirituale “forma missionis”: le cinque virtù come habitus liturgico

La tradizione vincenziana consegna una spiritualità praticabile in cinque virtù – semplicità, umiltà, mansuetudine, mortificazione, zelo per le anime – che costituiscono l’habitus del ministro evangelico. Le Regole comuni ne delineano il profilo: parola semplice e trasparente, prudenza evangelica, mitezza che conquista i cuori a Cristo, umiltà che innalza al cielo. È così che il missionario diventa segno sacramentale dell’amore di Dio tra i poveri.

In questa chiave si comprende la celebre massima: «Amiamo Dio… a spese delle nostre braccia». La carità – teologale e operativa – è criterio di verità: pensieri e affetti si verificano nel passaggio all’azione, nell’istruire i poveri, nel cercare la pecora smarrita, nell’accettare mancanze e infermità per amore. È una spiritualità eucaristica, che si consuma nel servizio.

Liturgia della vita apostolica

Gli Statuti ricordano che la preghiera (Scrittura, Eucaristia, meditazione, esame, esercizi, direzione spirituale) non è accessoria ma principio formale della missione: l’azione scaturisce dall’altare e vi ritorna. La liturgia della Chiesa genera una “liturgia del quotidiano” in cui il missionario offre i corpi, le ore, la fatica, come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio.

Così, l’agire ecclesiale – missioni popolari, riconciliazione sociale, educazione del clero – diventa epiclesi sul mondo: lo Spirito del Risorto trasforma il tessuto umano in opere di giustizia, pace e misericordia. La storia stessa attesta come la predicazione semplice e la mitezza vincenziana abbiano ricomposto inimicizie e aperto cammini di pace.

Discernimento e speranza: contro ogni rassegnazione

Una teologia della vocazione che si lasci guidare dallo Spirito respinge tanto il pessimismo sterile quanto l’attivismo senza anima. La stagione presente non è “post-qualcosa” da subire, ma tempo favorevole per rendere ragione della speranza e per esercitare l’“amore inventivo all’infinito”. La fedeltà alla nostra vocazione missionaria esige oggi immaginazione evangelica e comunione.

Preghiera

Padre, che in Cristo hai manifestato l’Evangelizzatore dei poveri,
manda il tuo Spirito sulla tua Chiesa, perché susciti uomini e donne
conformi al Figlio, poveri e per i poveri.
Rinnova in noi la stabilità dell’amore,
la semplicità della verità, la mitezza che guarisce,
l’umiltà che innalza, lo zelo che arde.
Fa’ della nostra vita una liturgia missionaria,
perché il mondo creda e i poveri siano evangelizzati. Amen.

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