Parte Ottava
I riti di comunione nel Messale Romano: il Padre nostro, la preghiera dopo il Padre nostro, la preghiera del Signore, lo scambio della pace, la frazione del pane, la preghiera prima della comunione, la comunione e l’orazione dopo la comunione.
L’obiettivo principale dei riti di comunione è che i fedeli siano ben disposti a ricevere il suo Corpo e il suo Sangue (OGMR 80). La sottolineatura è sui termini: ben disposti. Vedremo anche come si auspica che i fedeli ricevano il Corpo e il Sangue di Cristo. Purtroppo, nelle celebrazioni, non sempre si segue quanto è raccomandato da OGMR 80.
a) La presenza di Cristo sotto le due specie eucaristiche
È importante sottolineare il contesto in cui si celebrano i riti. Ora, il rituale del Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico, nell’Introduzione generale al n. 6 recita: nella celebrazione della Messa sono gradualmente messi in evidenza i modi principali della presenza di Cristo nella Chiesa. È presente in primo luogo nell’assemblea stessa dei fedeli riuniti in suo nome; è presente nella sua parola allorché si legge in chiesa la Scrittura e se ne fa il commento; è presente nella persona del ministro; è presente infine e soprattutto sotto le specie eucaristiche: una presenza, questa, assolutamente unica, perché nel sacramento dell’Eucaristia vi è il Cristo tutto intero, Dio e uomo sostanzialmente e ininterrottamente. Proprio per questo la presenza di Cristo sotto le specie consacrate viene chiamata reale: «reale non per esclusione, come se le altre non fossero tali, ma per antonomasia (= Cristo stesso).». (Rituale, pag. 15, n. 6. Il Rituale cita, S. CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione, Eucharisticum mysterium, n. 49, A. A. S. 59 (1967), pp.566-567.
È necessario che appaia questa progressione di presenza. Questa progressione inizia nella preghiera eucaristica con un movimento ascendente: il sacerdote e l’assemblea si rivolgono al Padre per Cristo nello Spirito Santo.
Nella struttura dialogica della liturgia è il Cristo che parla al Padre, rappresentato dai vari ministri. C’è una frase di sant’Agostino, citata nella Liturgia delle Ore, che riassume questo concetto: Gesù Cristo prega per noi; prega in noi; è pregato da noi. Queste varie dimensioni esistono nella liturgia: prega per noi, infatti ci sono momenti in cui il sacerdote sta intercedendo per il suo popolo e per il mondo. C’è il momento in cui si prega insieme, come nel caso del Padre nostro e ci sono momenti in cui noi ci rivolgiamo a lui come Dio.
In questa fase della preghiera eucaristica noi abbiamo questa preghiera diretta a Dio però, all’interno di questa, appare un nuovo movimento che può essere denominato di discesa, in cui la presenza di Dio è nelle specie eucaristiche: pane e vino. Termina questo movimento con la grande dossologia e con l’amen, sottolineato già da san Giustino (cfr. SAN GIUSTINO, Le due apologie, San Paolo, Roma, 1983, pag. 118, n. 5) ci si sposta verso un movimento rivolto all’assemblea. Seguono le preghiere che ci conducono a comunicare con il corpo e sangue di Cristo.
b) I riti di comunione
Le rubriche relative al Padre Nostro sono in funzione della recezione del corpo e sangue, così è per il segno della pace. Questa deve essere scambiata in modo sobrio (OGMR 82).
Questo perché può accadere che alla recita del Padre nostro si sottolinei un senso di comunione e di unità quasi costruita, quando ciò che crea unità è comunicarsi. Il rito della pace è secondario al comunicarsi. La collocazione del segno della pace nel rito romano crea difficoltà, a differenza del rito ambrosiano.
Questo segno nella storia del rito romano si è atrofizzato. Invece, questo non è accaduto nel rito ambrosiano, perché lo scambio della pace è posto prima della presentazione dei doni, come dovrebbe essere anche nel rito romano.
La frazione del pane avviene con l’aiuto del diacono o di un concelebrante se il pane ha una certa dimensione o una certa forma. Infatti, la frazione di un’ostia di grandi dimensioni è il segno migliore che siamo tutti parte di un solo pane, perché costituiamo un solo corpo.
La immissione nel calice di una piccola parte dell’ostia: nella messa romana, quando si comincia a celebrare nelle varie parrocchie, un pezzo del pane della messa del vescovo veniva portata nelle varie parrocchie per esprimere l’unità della Chiesa locale.
Le preghiere silenziose del prete hanno avuto inizio nel Medioevo quando era entrata in uso la messa privata. Queste preghiere servivano per la concentrazione del prete e per combattere le eresie che erano sorte riguardo alla presenza reale di Cristo. Oggi, se vogliamo attuare Sacrosactum Concilium n48, in cui si sottolinea che l’assemblea è soggetto di celebrazione sostengo che sia bene pronunciarle ad alta voce e alla prima persona plurale, perché è l’assemblea celebrante che si prepara a ricevere il Signore sotto le specie del pane e del vino e non solo colui che presiede la celebrazione.
Il sacerdote mostra il pane sul calice, perché questi non diventi la specie eucaristica di serie B.
(OGMR n. 85): si distribuiscano le ostie consacrate nella stessa Messa (cf. Eucaristicu mysterium, 25 maggio 1967, nn. 31-32, A. A. S. S. 59 (1967) 558-559; e SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI. ISTRUZIONE Immensae Caritatis, 29 gennaio 1973, n. 2 A. A. S. 65 (1973) 267-268).
È importante che si rispetti la natura del segno. Questo esige che la materia della celebrazione eucaristica si presenti veramente come cibo. Conviene quindi che il pane eucaristico, sebbene azzimo e confezionato nella forma tradizionale sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli.
Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi o altre ragioni pastorali lo esigano. Il gesto della frazione del pane, con cui l’Eucaristia veniva semplicemente designata nel tempo apostolico, manifesta sempre più la forza e l’importanza del segno dell’unità di tutti in un unico pane e del segno della carità, per il fatto che un unico pane è distribuito a tutti i fratelli (OGMR 321).
A motivo del segno la santa comunione esprime la sua forma piena se viene fatta sotto le due specie. In questa forma, infatti, risulta più evidente il segno del banchetto eucaristico e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre (OGMR 281; Cf. SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium 25 maggio 1967, n. 32: AAS 59 (1967) 558).
Non cadiamo nella tentazione della legge del minimo sforzo: meno complicazioni si creano e meglio è. Poi accusiamo i fedeli di non essere attenti e di non partecipare nel giusto modo, quando invece siamo noi che, nel presiedere alla luce del minimo sforzo, causiamo nei fedeli il sentimento d’insignificanza di quanto sta accadendo.
Il messale sta cercando d’inculcare il contrario: non presiedere con la legge del minimo sforzo.
Nella pastorale a che punto siamo? Nella terza edizione del Messale c’è una spinta verso l’estensione della pratica della comunione sotto le due specie. (OGMR 283). Purtroppo è anche una questione di mentalità. Infatti, in Inghilterra è normale comunicarsi quotidianamente sotto le due specie: al lato del presidente c’è un ministro con il calice e coloro che vogliono possono assumere dal calice, oppure intingervi la particola, qui c’è un’attenzione a un segno. Ci sono le varie possibilità. Purtroppo, in Italia, quando si fa la comunione sotto le due specie si usa normalmente l’intinzione dell’ostia nel calice da parte del prete che poi pone l’ostia sulla lingua del fedele. Mi domando fino a che punto sia significativa, perché stiamo parlando dal punto di vista del segno: comunicare al corpo e al sangue di Cristo. Se pensiamo alla pasqua ebraica, i due centri della celebrazione erano collegati a due momenti e aspetti diversi.
La prima parte della cena ebraica incentrata sul ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e il calice, naturalmente uno dei tanti, è nel contesto di tutto quello che Dio ha donato al popolo: la terra promessa e l’alleanza che ha stipulato con Israele.
Nella Messa anche i segni del pane e del vino hanno significati diversi, un dinamismo pasquale: il Cristo che si spezza per noi e nel calice egli offre la sua vita, nel il suo sangue versato. Nel rito bizantino prima di assumere al calice si infonde un po’ di acqua bollente per significare che il sangue è quello di un vivente e non quello di un morto. Ora, l’intinzione dell’ostia nel calice compiuta dal prete e posta con sulla lingua perde tutto il significato del segno. Si perde il segno del mangiate e si perde il segno del bevete.
c) La disposizione dei vasi sacri sulla mensa.
La disposizione dei vasi sacri sulla mensa: unico pane e unico calice, è importante che ci sia il pane e il calice del celebrante principale, nelle celebrazioni si possono avere altri calici, e altro pane, ma il pane e il calice del presidente siano ben visibili.
Mentre il presidente si comunica inizia il canto di comunione. Dopo la comunione l’assemblea vive un tempo di silenzio. Terminato il sacro silenzio, tutta l’assemblea può anche cantare un salmo o un cantico di lode o un inno (OGMR 88). L’antifona alla comunione, come anche l’antifona d’ingresso sono lette, quando non si esegue il canto adatto al momento liturgico. Le antifone non devono costituire un doppione del canto.
La purificazione dei vasi sacri: è compito del prete, del diacono o dell’accolito istituito. Deve essere compiuta con il dovuto rispetto, senza scadere negli scrupoli. I ministri hanno anche il compito di consumare i resti del pane e del vino che sono rimasti nei vasi sacri. Il tutto deve essere compiuto alla credenza con la massima cura (OGMR 183).
I riti di congedo: hanno inizio con l’orazione dopo la comunione; segue la lettura degli avvisi; il saluto e la benedizione.
Il bacio della mensa da parte del presidente e del diacono.
Il canto finale è opzionale.
Un suggerimento personale.
Non ha molto senso che il canto finale si esegua dopo l’invito: la Messa è finita andate in pace. Così il 98% dell’assemblea celebrante esce e non canta.
Suggerisco di far eseguire all’assemblea una o al massimo due strofe del canto finale e poi dire: la Messa è finita andate in pace.
Lo scopo primario e originario della conservazione dell’Eucaristia è quello dell’amministrazione del viatico. Questo è un obbligo per i battezzati (cfr. Rituale Culto eucaristico, n.6). Si privilegia il viatico all’unzione degli infermi per una persona in pericolo di morte. (Cfr. Rituale dell’Unzione n. 30)
Fin dai tempi di Giustino martire (150 d. C) era uso portare la comunione ai malati durante la celebrazione eucaristica domenicale (cit Apologie, 118, n. 5). Non esisteva la conservazione dell’eucaristia. L’uso è nato dalla preoccupazione che, coloro che morissero durante la settimana potessero ricevere il viatico.
Gli scopi secondari della conservazione dell’Eucaristia sono:
la distribuzione dell’eucaristia fuori della Messa e l’adorazione eucaristica.
La distribuzione della comunione fuori della Messa: si educhino i fedeli a comunicarsi durante la celebrazione eucaristica, i sacerdoti però non rifiutino di dare la comunione ai fedeli che ne facciano richiesta (Rituale, Culto eucaristico, n. 14). Questo caso succede raramente. Può capitare che ci siano persone che assistono un malato e non possono partecipare alla celebrazione eucaristica.
C’è anche il caso che capita nelle terre di missione dove il prete passa ogni tanto nei vari villaggi e, per questo motivo, la domenica si celebra la liturgia della Parola. In questo caso i ministri abilitati, dopo il Padre nostro distribuiscono l’eucaristia che è conservata nel tabernacolo.
A quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica, si porti il cibo spirituale perché si sentano sempre di più parte della Chiesa che vive nella comunità radunata nel giorno del Signore che celebra l’eucaristia. Chi sono queste persone impedite? Gli infermi e gli anziani
Si abbia cura d’insegnare ai fedeli che si uniscano intimamente al sacrificio di Cristo nell’eucaristia celebrata quotidianamente (Rituale, Culto Eucaristico, n. 15).
Armonizzazione del culto eucaristico con i tempi liturgici, in modo che i pii esercizi siano armonizzati alla liturgia (Rituale Culto eucaristico n. 16).
La presenza del sacramento deriva dalla celebrazione eucaristica e tende alla comunione sacramentale. Con il culto eucaristico i fedeli prolungano questa presenza. Deve apparire evidente il rapporto di questo culto con la Messa, si eviti nell’ornamento, tutto ciò che possa oscurare il segno dell’eucaristia come cibo. (Troni ecc..)
Durante l’esposizione dal Santissimo è vietata la celebrazione della Messa. Qualora, durante l’adorazione prolungatala, si dovesse celebrare nella stessa navata la Messa, l’adorazione si conclude.
Di p. Giorgio Bontempi C.M.