Riflessioni sulla Liturgia alla luce della Lettera Apostolica Desiderio Desideravi del Santo Padre Francesco – III

Altro ambito della celebrazione è il linguaggio verbale. In questo settore una grande attenzione è data alla Parola di Dio, proclamata e spiegata e il suo ritorno a Dio dopo aver operato nel singolo e nella Chiesa...

IL LINGUAGGIO VERBALE E NON VERBALE

Il linguaggio verbale

Altro ambito della celebrazione è il linguaggio verbale. In questo settore una grande attenzione è data alla Parola di Dio, proclamata e spiegata e il suo ritorno a Dio dopo aver operato nel singolo e nella Chiesa. (SC 51).

Una categoria che rimanda al linguaggio verbale è quella che concerne le Orazioni. L’institutio Generalis del Messale Romano (o Principi e norme per l’uso del Messale Romano), rimanda ad una serie di Orazioni: le preghiere eucaristiche; la colletta; le orazioni sulle offerte; le orazioni dopo la comunione.

Si tratta di quelle orazioni che il presidente rivolge a Dio a nome di tutta la comunità cristiana che esercita, mediante il battesimo, il proprio sacerdozio, che entra in relazione con il sacerdozio ministeriale. Ricordiamo che l’assemblea è il soggetto celebrante di cui colui che presiede è parte. (SC 26).

Quando parliamo di Orazioni è bene porsi in una ars dicendi oltre all’ars celebrandi. Non soltanto una gestualità che accompagna la parola, ma anche una parola che va pronunciata con arte in piena coerenza con il momento celebrativo e la specificità delle parole.

L’ars dicendi rimanda al rispetto del senso delle parole che si pronunciano. Purtroppo capita che proferire le Orazioni si cambia voce e si snatura il senso dell’orazione: quando il prete pronuncia le orazioni, con tono retto, velocemente, oppure troppo lentamente.

Altro tasto dolente è costituito da le monizioni e le parti variabili delle celebrazioni. (SC 34).

Il Messale Romano propone una serie di monizioni che hanno un carattere esemplare e che sono legate a quei testi variabili e che non possono essere lasciati alla improvvisazione ma vanno curati con una certa sapienza, con attenzione. Parti variabili che debbono avere una giusta armonia con l’intero corpo rituale: una monizione non dev’essere una omelia che prepara all’atto rituale che segue (pensiamo a certe introduzioni delle Messa; oppure a certe introduzioni alle letture, spesso più lunghe delle stesse). La monizione ci deve far entrare nel clima dell’azione liturgica che segue.

Un mio parere personale: è meglio evitare le monizioni. La liturgia celebrata bene parla da sé. Pensiamo alle pubblicità che ci sono proposte in televisione o sugli altri mezzi di comunicazione: non esistono monizioni, perché il messaggio deve parlare da sé. Altrimenti si sostituisce la pubblicità!

L’ars dicendi: valutare la diversità degli atti di parola, che hanno natura spessore e funzioni differenti, spronano ad una sapiente ars dicendi.

Poi ci sono gli atti verbali comunitari: l’assemblea attraverso l’atto penitenziale, le acclamazioni, la professione di fede, la preghiera universale e la preghiera del Signore compie degli atti di linguaggio verbale ed esprime la sua partecipazione attiva alla celebrazione. Questa non è una muta spettatrice, ma è soggetto della celebrazione (SC 30 e 31).

Il Canto (SC 112): non è un elemento accessorio, ma è una parte intrinseca della celebrazione. Il canto deve essere legato alla partecipazione dell’assemblea celebrante. Il canto deve avere una certa qualità, non tutto va cantato e non tutto è cantabile. È necessario una forma di discernimento, non ci si può accontentare di qualsiasi cosa, basta che si canti. (OGMR 40) Il canto deve essere coerente al gesto celebrativo. (SC 121 § 3); (Precisazioni CEI n. 2. in OGMR, 1. II).

Il canto deve esprimere il momento celebrato. Per cui non si può eseguire un canto mariano durante la processione d’ingresso in cui si esprime il popolo di Dio radunato che incede verso il suo Signore: la Chiesa che segue il Signore risorto. Anche al termine della celebrazione non è opportuno, purtroppo è in uso eseguire un canto mariano, perché si esprime la Chiesa che intende vivere quello che ha celebrato, recandosi a testimoniare il vangelo per le strade del mondo. Questo non è mancanza di rispetto verso la Vergine Maria, ma è collocare questa al suo giusto posto. Pastoralmente io suggerisco a colui che presiede: prima di congedare l’assemblea, di suggerire l’esecuzione di una strofa o due del canto finale. Non ha senso che coloro che animano i canti giungano al termine di quello finale a chiesa vuota.

Il linguaggio non verbale

Altro elemento della lettura del programma rituale è il linguaggio non verbale. La liturgia è fatta anche di gesti e di cose, dove la corporeità dell’assemblea celebrante ha la sua importanza, perché nel linguaggio celebrativo la corporeità dell’uomo compie le azioni.

Il primo aspetto su cui dobbiamo riflettere è il valore dei sensi. Il linguaggio liturgico è attento a valorizzare la forza dei sensi, di coinvolgerli in un luogo, in uno spazio per entrare in relazione con Dio, per entrare in relazione con gli altri e per entrare in relazione con sé stessi. Nella liturgia tutti i cinque sensi vengono amplificati e valorizzati: c’è la dimensione del gusto, del tatto, della vista, dell’udito, dell’olfatto, tutta la corporeità e la sensibilità umana vengono richiamate. (cfr. P. TOMATIS, Accende lumen sensibus, Edizioni Liturgiche, Roma, 2010) I sensi vengono accesi dalla celebrazione liturgica, non c’è soltanto una partecipazione interiore, ma c’è una partecipazione che è sensibile e l’uomo, afferma Romano Guardini, è capace di agire simbolicamente. Quindi non ci può essere una dicotomia (= separazione) tra l’interiorità e l’esteriorità. Questa necessità di superare tale separazione e ci conduce al secondo aspetto, che è la verità dei gesti: le azioni che il corpo compie devono connotare una verità di ciò che si afferma: la mente concordi con la voce e questa si concordi con la corporeità. Non può esserci una schizzofrenia, altrimenti il gesto viene compiuto, ma l’interiorità è in un altro luogo del mondo, quindi è fondamentale la verità del gesto. Questa ci rimanda alla nobile semplicità (SC.34). Se partiamo da che cosa ha detto il Papa, facendo riferimento alle forme di personalismo o di rigidità, la gestualità deve essere nobile e semplice, non deve distrarre, non deve essere enfatizzata, ma non deve essere neanche inventata, ma neanche rigida, cioè dev’essere naturale, dev’essere vera.

Il Decoro degli oggetti

Altro aspetto è quello del decoro degli oggetti, anch’essi sono parte integranti e danno vita al gesto. Tutto dev’essere vero, bello e buono. L’elemento materiale deve essere vero: gli oggetti debbono esprimere il tempo liturgico e la solennità. (SC 128).

La sacralità del Silenzio (SC n. 30; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 17 Acta Apostolicae sedis (AAS) 59 (1967) 305.

Il silenzio deve avere il suo spazio nell’azione celebrativa. Secondo il Messale Romano si deve fare il silenzio in una celebrazione:

  1. durante l’atto penitenziale (al momento dell’esame di coscienza) e dopo l’invito alla preghiera (es. Preghiamo) il silenzio aiuta al raccoglimento;
  2. il silenzio dopo la lettura o dopo l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato.;
  3. dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.
  4. anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sacrestia, nel luogo dove s’indossano i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione. (OGMR Capitolo II, n. 45, XXIII).

RR

La prossima riflessione sarà centrata su i Riti iniziali.

Desiderio Desideravi Ars Celebrandi 3

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