L’Inchiesta Diocesana, molto complessa, per le tante situazioni da approfondire e chiarire, che si era aperta nella cattedrale di Valencia il 20 settembre 2003 SI E’ CHIUSA A VALENCIA IL 31 MAGGIO 2008.
1. FAMIGLIA, INFANZIA, GIOVINEZZA
Nell’anno 1872, il 24 maggio, nacque, in una famiglia cristiana di Arequipa (Perú), un bambino che fu battezzato nello stesso giorno della nascita nella Parrocchia del Sagrario della città di Arequipa. Nel certificato di battesimo risultano imposti i nomi JUAN FRANCISCO EMILIO TRINIDAD LISSÓN CHAVES. Si firmerà sempre Emilio Lissón.
Era di origine spagnola: discendeva in linea materna da Fernández de Córdoba, ma la sua famiglia si era stabilita in Perù da moltissimo tempo. Tra i familiari illustri di questo figlio di S. Vincenzo de Paoli troviamo vari poeti classici della letteratura peruviana ed eminenti geologi.
I suoi genitori furono D. Carlos Lissón Hernández e Dña. Dolores Chaves Fernández, entambi di solida fede e regolare pratica religiosa. Perse il padre quando era ancora molto piccolo e la madre dovette provvedere da sola all’educazione del figlio.
La madre e la nonna materna trasmisero quindi la fede al bambino. Da allora apprese le prime preghiere e la prima istruzione di vita cristiana.
Da piccolo studiò e imparò la storia della religione narrata nel libro del Padre José García Mazo. Nel settembre 1884 fu accolto nel Collegio-seminario della Congregazione della Missione di Arequipa. Era direttore del Collegio il grande pedagogo francese P. Hipólito Duhamel, morto nel 1908.
Emilio rimase lì 8 anni e conobbe il carisma e i ministeri della Congregazione della Missione. In questi anni del seminario minore manifestò serietà nello studio e obbedienza alle regole dettate dai superiori.
2. VOCAZIONE DI MISSIONARIO
Si sentì chiamato fin da giovane a seguire il ministero sacerdotale come membro della Congregazione della Missione. Nel 1892 fu inviato a Parigi, dove entrò nella Congregazione il 18 maggio per iniziare il suo noviziato. Aveva già venti anni ed un’eccellente preparazione accademica e disciplinare. Il giorno 25 marzo 1894 emise i voti proseguendo i suoi studi di Teologia a Parigi. A Parigi ebbe come professore di Sacra Scrittura e Scienze naturali il grande maestro ed apostolo P. Pouget, famoso per il sapere, per la virtù e per il senso ecclesiale.
Il 18 giugno 1895 fu ordinato sacerdote nella Casa Madre della Congregazione della Missione a Parigi. Fu ordinato con quasi dodici mesi di anticipo rispetto all’età canonica, per cui fu necessario sollecitare un rescritto di Roma che lo dispensasse dall’età.
Dopo la sua ordinazione sacerdotale fu richiesto da P. Hipólito Duhamel, superiore del seminario di Arequipa. P. Emilio Lissón ritornò in Perù nello stesso anno 1895 per impegnarsi come professore nei seminari di Arequipa e Trujillo. Lì rimase distribuendo il suo tempo tra lo studio, l’insegnamento e i ministeri propri della Congregazione fino al 1909.
L’ambiente di allora nella Congregazione era di fervore e fedeltà carismatica, zelo apostolico e molta disponibilità missionaria. I ministeri dei missionari Paoli o Vincenziani si indirizzavano alla formazione dei futuri sacerdoti nei seminari, la predicazione nelle missioni popolari, lo stabilimento della Chiesa nei paesi di missione ad gentes e la guida pastorale di parrocchie e collegi dedicati alla formazione cristiana dei giovani, oltre che alla direzione spirituale e formazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli.
Emilio Lissón, già sacerdote e missionario vincenziano, studia nell’Università di Arequipa Geologia e Scienze naturali e frequenta vari corsi di Giurisprudenza, mentre continua ad insegnare nel Seminario e partecipa ai ministeri della Congregazione. Gli risultava facile l’apprendimento delle lingue, arrivando così a parlare francese, inglese, latino e italiano e ottenendo voti brillanti in greco.
Non ancora trentenne, ebbe l’incarico della direzione del seminario minore di Arequipa e dell’insegnamento di Teologia e Diritto nel Seminario Maggiore. Nel 1907, alla morte di P. Teófilo Gaujon, C.M., professore e direttore spirituale del seminario maggiore di Trujillo, P. Emilio Lissón fu nominato al suo posto, e disimpegnerà questi ministeri fino al 1909.
3. MISSIONARIO E VESCOVO NELLA DIOCESI DI CHACHAPOYAS
Il 10 settembre 1909 il papa S. Pio X lo nominò Vescovo di Chachapoyas. Tra le informazioni richieste prima della sua nomina si legge: “P. Lissón si distingue per la sua austera vita sacerdotale, per la sua viva pietà, per la sua rara modestia, e per la sua affezione allo studio. E’ inoltre di carattere fermo e intraprendente ed è capace di grandi iniziative”. Fu consacrato il 19 settembre, a 37 anni.
La diocesi di Chachapoyas era una diocesi in stato di missione e molto vasta: comprendeva parte delle Ande e parte di Ceja de Selva, occupando un’estensione pari alla metà della Spagna. A quel tempo non c’erano sentieri nè strade asfaltate per gli spostamenti. Egli stesso racconta che dalla costa alla sua sede episcopale impiegò 12 giorni a cavallo. Figlio fedele di San Vincenzo de Paoli, mise a disposizione dei poveri il suo talento, il suo sapere, la sua preparazione, il suo tempo e soprattutto la sua fede. Si sentiva pastore e voleva conoscere le sue pecore.
Nel suo primo documento pastorale del 19 settembre 1909 espose le sue grandi preoccupazioni pastorali: la situazione e la formazione del clero, i poveri, i bambini, i giovani e tutti coloro che erano disorientati a proposito della Fede.
Nonostante le distanze e la povertà dei mezzi, visitò due volte tutta la diocesi: una volta in canoa, l’altra coi muli, o spesso a piedi. Si mostrò pastore vicino, amico in particolare dei poveri e dei bambini, sia sulla costa che in montagna o nei campi. Superava ogni ostacolo per raggiungere i villaggi più nascosti nella foresta. Osservando la scarsità di clero locale e l’abbandono pastorale degli indigeni, pensa a come poter diffondere il messaggio evangelico. Perciò chiese sacerdoti e religiosi alle Congregazioni europee. Ottenne prima 12 missionari Passionisti spagnoli: per collocarli nelle diverse parrocchie della sua diocesi impiegò 3 mesi. Poi ricevette la risposta positiva dei Padri Francescani per il Collegio diocesano. Padre Olivares, confratello della C.M., lo accompagnerà due anni per la ricostruzione del seminario diocesano. Dal 1909 al 1918 fece due volte la visita ad limina a Roma come vescovo missionario. Egli stesso confidò che, in questa circostanza, S. Pio X gli disse: “Figliolo, c’è bisogno più di gambe che di testa”; al che Mons. Lissón rispose: “Santità, ho la stessa esigenza pastorale”. E i due ne risero amichevolmente.
Ricostruì la residenza episcopale, il seminario e la cattedrale. Installò la luce elettrica in questi centri e in tutta la città di Chachapoyas.
Pieno di zelo per la promozione sociale e l’evangelizzazione degli indigeni, istituì officine meccaniche, una tipografia, una falegnameria, un laboratorio e magazzino, e un mulino per il riso, alimento essenziale per quella zona. Fondò un periodico, un Collegio minore con convitto e realizzò quattro sinodi diocesani. In questa fase lo accompagnò “mamá Dolores”, sua madre, come una missionaria durante i nove anni di permanenza a Chachapoyas.
4.-MISSIONARIO E ARCIVESCOVO DI LIMA.
Per una migliore cura spirituale dei suoi fedeli, rese parrocchie quasi tutte le chiese di Lima. Ottenne dalla Santa Sede4 per la cattedrale il titolo di Basilica Minore, coi relativi privilegi pastorali. Realizzò un pellegrinaggio mariano al Santuario di Cocharcas en Ayacucho.
Convocò e celebrò l’VIII Concilio di Lima ed il XIII Sinodo archidiocesano. Incoronò canonicamente le immagini di N.ra Signora de la Mercedes e di N.ra Signora del Rosario di Santo Domingo. Ottenne dal Governo del Paese la donazione del moderno palazzo arcivescovile. Per evitare la minacciata confisca dei beni della Chiesa e per ottenere una migliore amministrazione delle rendite dell’Archidiocesi, creò la Sindicatura Eclesiástica nella quale centralizzò i beni delle istituzioni ecclesiastiche che venivano amministrate dall’Arcivescovado.
Creò istituzioni di aiuto e solidarietà economica e sociale per i più poveri, come La Auxiliadora o il Monte de Piedad. Contribuì alla costruzione di case con fini sociali e pastorali e alla organizzazione del lavoro dei minatori in forme più giuste ed equilibrate.
Nelle sue visite pastorali percorse città e campagne avvicinandosi a tutti i fedeli, specialmente ai contadini e ai poveri. Nel 1925 rappresentò la Chiesa del Perù nel Congresso Eucaristico Internazionale celebrato a Chicago e con i suoi documenti pastorali alimentò la devozione all’Eucaristia come alimento della vita cristiana. E fu durante una visita pastorale nell’anno 1931 che ricevette dalla Santa Sede la notizia della cessazione del suo governo arcivescovile.
5. MISSIONARIO DURANTE IL SUO ESILIO A ROMA
La sua presenza religiosa, la sua intelligenza chiaroveggente, la sua azione audace e prudente per difendere i beni della Chiesa e la sua grande attività pastorale, non furono ben visti in alcuni ambienti civili ed ecclesiastici intorno a lui. Perciò fu denunciato a Roma da alcuni sacerdoti della sua diocesi, ed accusato di ambizioni ed ingerenze politiche, di cattiva amministrazione e di scarsa formazione teologica. Per questo, e altre circostanze diplomatiche che sembrarono convenire al Vaticano e alla Chiesa Peruviana, fu obbligato a dimettersi da Arcivescovo di Lima l’8 gennaio 1931. Di conseguenza si pose in cammino verso Roma, senza sapere il futuro che lo aspettava.
Il giorno 20 febbraio 1931 al suo arrivo a Roma, il Papa Pio XI gli disse che non doveva difendersi e che non stava subendo nessun processo, e che la procedura seguita (la sua rinuncia) era la più prudente in quel momento. Questo fu tutto…
La rinuncia era stata firmata l’8 gennaio 1931, prima della partenza da Lima, su richiesta di Mons. Gaetano Cicognani, Nunzio della Santa Sede in Perù. In precedenza erano state inviate a Roma varie denunce contro la sua persona e la sua azione pastorale. Le accuse si potevano riassumere in tre categorie: a) ingerenze politiche; b) fallimenti nelle attività economiche; c) mancanza di preparazione teologica.
La sua permanenza a Roma corrisponde ad una situazione di esilio e il suo vagare nella città eterna è un accumularsi di prove, incomprensioni, solitudine e difficoltà economiche, pellegrinando da un luogo all’altro in cerca di accoglienza.
Mons. Lissón, confinato per nove anni nella Casa Internazionale che la Congregazione della Missione ha in Roma, si vide obbligato a far il “cicerone” per poter pagare l’ospitalità. In quel tempo studiò archeologia e storia ecclesiastica. Si dedica a confessare i giovani seminaristi, sacerdoti e religiosi, tiene ritiri spirituali, fa da guida turistico-religiosa a chi lo chiede e lavora come e quando può.
In varie occasioni chiese al Vaticano di tornare in Perù, non come arcivescovo, ma come semplice missionario, ma gli fu sempre negato il permesso, senza spiegazioni. Arrivò a vedersi obbligato a chiedere una cappellanìa con assegnazione economica per poter sopravvivere con una certa dignità. Purtroppo passò alcuni periodi di grave necessità, fino al punto di pensare ad un suo inserimento nella Provincia di Roma come missionario vincenziano, perchè non aveva i mezzi sufficienti a vivere.
Solo la Congregazione della Suore Riparatrici del Sacro Cuore, di fondazione peruviana, gli tese la mano e lo aiutò durante il suo esilio a Roma. Fece da loro cappellano fino agli ultimi giorni della sua permanenza in Italia. Il 21 maggio 1940, celebrò l’Eucaristia per l’ultima volta nella cappella della Casa Generalizia di via Tagliamento. La corrispondenza tra Mons. Lissón e la Fondatrice, Madre Teresa, riflette la profondità spirituale della sua vita e della sua fede, il suo modo di vivere il mistero della croce, il carattere evangelico della sua condotta nell’esilio.
Poco prima che l’Italia si vedesse inserita negli orrori della 2a guerra mondiale, Mons. Lissón decise di andare in Spagna, per sentirsi più sicuro e poter realizzare qualche attività pastorale. Iniziò il suo viaggio per nave il 24 maggio 1940, annotando costantemente nel suo diario i luoghi raggiunti e i dettagli del viaggio.
6. MISSIONARIO IN SPAGNA (1940-1961)
Nel 1940 si rifugiò in Spagna invitato da Mons. Marcelino Olaechea, vescovo di Pamplona. In Spagna fu molto ben accolto tanto da Mons. Marcelino Olaechea y Loizaga, che dal Cardinale Pedro Segura, che aveva conosciuto a Roma.
Al suo arrivo in Spagna, il 6 giugno 1940, invitato dai Padri Vincenziani va in pellegrinaggio nei luoghi di S. Ignazio di Loyola, Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce. Così iniziano la sua permanenza e il suo apostolato in Spagna
Mosso dall’unico desiderio di compiere la volontà di Dio e servire la Chiesa, si stabilisce in Siviglia nella Casa dei Missionari della Congregazione della Missione. Fa da vescovo ausiliario del cardinale Segura e alterna la sua permanenza a Siviglia con quella a Valencia, richiesto da D. Marcelino Olaechea. Ai primi del 1950 va a vivere con lui nel palazzo vescovile. Era disponibile per il servizio che gli era richiesto in Valencia e in qualsiasi altra diocesi. Tuttavia dalla Spagna sollecitò il permesso per tornare in Perù, che però da Roma gli fu negato.
Negli anni del dopoguerra, c’erano in Spagna 13 diocesi vacanti, poichè i loro vescovi erano stati perseguitati e assassinati. Si pose perciò a disposizione della Conferenza dei vescovi per amministrare il sacramento della Cresima, fare visite pastorali e impartire ordinazioni.
Raggiunge così le diocesi di Siviglia, Valencia, Badajoz, Alicante, Teruel, Cuenca, Madrid, Salamanca, Albacete, Jaén, Murcia…. In quel periodo (1940-1961) la maggior parte dei contadini erano poveri e le condizioni di vita non erano certo confortevoli. Veniva ospitato nelle loro case. I gitani e i poveri di Siviglia lo conoscevano bene. Dicevano di lui: “Monsignore è una santo !”. Dava tutto quello che aveva, perfino le cose personali, come il vestito, il sombrero o l’ombrello perchè le vendessero, e anche il suo anello. Dovevano ricordargli che le cose che usava erano prestate, cosicchè, sapendo che non erano sue, non le avrebbe potuto dare anche se le avessero chieste.
E nonostante i molteplici impegni e viaggi, gli restava il tempo di conferire gli ordini sacri ai sacerdoti della Congregazione della Missione, tanto nella Provincia di Barcellona che in quella di Madrid. Inoltre dedica del tempo a fare ricerche nell’Archivio delle Indie di Siviglia.
I suoi lavori furono pubblicati in cinque volumi sotto il titolo: “La Iglesia de España en el Perú”.
I cospicui proventi che ricavò dalla pubblicazione furono destinati a borse di studio per i futuri sacerdoti del Perù.
La vita in Spagna non fu facile per lui. Lavorò molto fino al termine della sua vita, ma nel silenzio e nell’umiltà, come un monaco.
E così lo colse la morte a Valencia il 24 dicembre 1961. Il giorno 26 dicembre si celebrarono i funerali nella cattedrale, presieduti da D. Marcelino Olaechea. Moltissimi sacerdoti, religiosi e fedeli riempivano il tempio e tra loro una numerosa rappresentanza della Figlie della Carità dei Missionari Vincenziani. Furono molte le voci che esclamarono “E’ morto un santo”. Con questi sentimenti fu sepolto nella cripta della Cattedrale di Valencia.
I fatti e le azioni della sua vita dopo il 1931 manifestano un’umiltà a tutta prova, un amore pieno di misericordia per i suoi persecutori e una grande carità verso i poveri. “Dava loro tutto”, dicono quelli che lo conobbero. Possedeva la virtù dell’obbedienza in grado straordinario, a immagine di Cristo che si fece obbediente fino alla morte, e alla morte di croce.
Altro aspetto della sua virtù eroica è il silenzio sui suoi nemici e detrattori, tenendo sempre fisso lo sguardo a Gesù che muore perdonando i suoi nemici.