di Sr Antida Casolino
Nell’omelia che Sua Santità Papa Paolo VI nel 1972, pronuncia in occasione della Beatificazione di Santa Agostina Pietrantoni, è facile cogliere elementi lirici dal sapore bucolico che dipingono, realisticamente, ambiente e clima dei luoghi che hanno visto nascere, crescere e agire Livia Pietrantoni, fino al giorno della sua entrata nella Congregazione religiosa delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Nell’intenzione del Papa c’è la volontà di rilevare una fede cristiana semplice, essenziale, antica, che si esprime con la preghiera, il lavoro duro di ogni giorno, la dedizione e il servizio reciproco. La presenza di Dio, la fiducia nella Provvidenza, il rispetto degli anziani e dei piccoli, fanno fluire gesti di squisita solidarietà con tutti, specie con chi è più in difficoltà.
Basta raggiungere la Sabina, alta regione del Lazio, dalle colline punteggiate di ulivi d’argento e salire a Pozzaglia Sabina, in provincia di Rieti, per rivedere una coppia di giovani sposi, Francesco Pietrantoni e Caterina Costantini che il 27 marzo del 1864 accoglie amorevolmente, Oliva, detta poi Livia, la seconda di undici figli. Livia respira i valori di questa famiglia di agricoltori onesti, laboriosi, religiosi. Grande influenza sulla sua formazione alla vita esercita il nonno Domenico, patriarca saggio che, insieme a tutti gli altri membri della famiglia “badava a fare bene e a pregare”. A mano a mano che la famiglia aumenta, Livia ha modo di sviluppare nei confronti dei fratellini, quel senso di maternità che la abilita a gesti, attenzioni, dolcezze, che pur rubandole la spensieratezza, il tempo della scuola, le energie per il lavoro in casa e nei campi, le permette di assuefarsi ad un atteggiamento intuitivo, protettivo, promozionale, gratuito, oblativo.
Non si possono dimenticare le sue fatiche di bambina, con altri bambini, per la costruzione delle strade, nelle vicinanze di Pozzaglia. I bambini vengono ricompensati con poco. Questo poco è un piccolo sollievo per le famiglie. Il lavoro consiste nel trasporto di contenitori pieni di ghiaia occorrente per la sistemazione di base della strada. Più tardi, con altre adolescenti e giovanette, Livia si dedica alla raccolta delle olive, come lavoro stagionale. E’ necessario raggranellare un gruzzolo per il corredo, o per dare un aiuto alle famiglie numerose. Livia diventa il punto di riferimento delle compagne, con le quali sopporta fatiche e disagi. Si fa protettrice del gruppo nei confronti di “caporali” esigenti e senza scrupoli, che tendono insidie. Le ragazze sono costrette a rimanere lontane dalle famiglie e dal paese per mesi interi, solo in Livia trovano sicurezza e solidarietà, raccomandate dalle loro mamme. Mamma Caterina si rende conto che la figlia, nonostante le iniziative di approccio dei ragazzi e di uno in particolare, non si orienta verso il matrimonio. Che cosa farà questa sua figlia, bella, giovane, virtuosa? “Io non so che pensare di questa figlia; non ci capisco niente: non so proprio che cosa cerca! “
“Cristo sarà l’amore, Cristo lo sposo”, pensa Livia e vuole una Congregazione religiosa dove si lavora giorno e notte. Lo zio, frà Matteo, riconosce le qualità della nipote. Il 23 marzo 1886, Livia, dopo aver salutato tutti, dopo aver baciato la porta della sua casa, tracciandovi sopra un segno di croce, intraprende con lui il viaggio per Roma, verso Via Santa Maria in Cosmedin, allora via Salara, presso le Suore della Carità, dette di San Vincenzo de’ Paoli, perché la Fondatrice non è ancora canonizzata.
Livia trascorre serenamente il tempo di preparazione alla vita religiosa in postulato e in noviziato, convinta che occorra formarsi e costruirsi per operare la propria trasformazione in Cristo e in una degna Suora della Carità, secondo le attese della Chiesa e del Carisma della Carità. Di qui la sua certezza che, servire i poveri significa vedere in essi la persona di Gesù Cristo povero, per il quale, “tutto è poco”. Vestito l’abito religioso e preso il nome di Suor Agostina, viene inviata, il 14 agosto 1887 presso l’Ospedale Santo Spirito di Roma dove, appena entrata, eserciterà il dono totale di sé in un reparto di bambini ammalati. L’ospedale Santo Spirito vanta una lunghissima storia. Costruito su sito romano per i pellegrini, è voluto da Papa Innocenzo III, nel Medio Evo, per la cura dei malati, dei diseredati, dei poveri. Questo “Conservatorio” è sempre guardato dagli altri Papi come luogo privilegiato per un servizio ai bisognosi di ogni genere. Qui hanno prestato cure e assistenza, nel tempo, una serie di grandi figure di Santi della carità.
Le Suore della Carità vengono chiamate da papa Gregorio XVI nel 1844. Nonostante il sostegno del Vaticano, dopo il 1870, Roma dà un orientamento laico all’ospedale, con l’ insofferenza nei confronti della religione e di qualunque segno o espressione la possa far ricordare. Successivamente, all’interno dell’Ospedale si instaura un ulteriore, negativo influsso anticlericale da parte del Direttore stesso, massone e assessore del Campidoglio. Le Suore possono rimanere, a patto che non parlino di Dio ai malati. Suor Agostina prega di nascosto, può parlare poco, ma può testimoniare un amore tenero, attento, premuroso per ogni malato. Purtroppo contrae un’infezione che la porta vicina alla morte. Guarita, viene trasferita nel reparto per malati di tubercolosi, che guariscono con difficoltà, che sono contagiosi, che muoiono… Un medico dice che “Suor Agostina si è mostrata sempre dolcissima, si prestava a fare non solo quello che era suo dovere, ma anche di più e molto volentieri, pronta, umile, ilare”. I tubercolotici sanno quale può essere l’epilogo fatale della loro vita. La degenza è lunga, le cure sono interminabili, la lontananza dalla famiglia e dalla società è motivo di prostrazione; l’irascibilità, l’insofferenza per la minima contrarietà, li caratterizzano.
Suor Agostina abbraccia questo mondo, lo serve, si industria per confortare e accompagnare, fino all’ultimo respiro, ogni malato e, se per i moribondi non può chiamare il sacerdote, diventa sacerdote quando occorre: “A distribuire le medicine agli ammalati tutti sono capaci; ma la missione della Suora della Carità è un’altra”. Contagiata lei stessa dal male e, guarita, propone alla Superiora di riprendere il suo posto per evitare che un’altra sorella possa contrarre lo stesso male.
Uno dei malati, mette tutti i giorni a dura prova Suor Agostina come caposala e, le infermiere e, i medici. Questi, dopo molti richiami, riescono ad ottenere il suo allontanamento dall’Ospedale per evitare prevaricazioni e provocazioni continue. Si narra anche di aiuto economico e di incontri con la povera madre di questo figlio collerico e vendicativo. Giuseppe Romanelli, questo è il suo nome, non prende bene il provvedimento. Crede che c’entri Sant’ Agostina, già sempre da lui maltrattata, presa di mira e minacciata di morte. Continuamente egli rientra in Ospedale per intimorire la suora a parole, a gesti o con dei bigliettini, provocandola anche con sfide indecenti. Il Romanelli mette in atto il suo piano vendicativo la mattina del 13 novembre 1894 pugnalandola a morte, rincorrendola a tradimento, quando ella sta procurando con delicatezza un sollievo ad un malato. Mentre muore, dalla sua bocca, non escono che parole di perdono e invocazioni alla Vergine Maria.
“Mi sento infiammata di carità per tutti e pronta a sostenere qualsiasi sacrificio, anche a spargere il sangue per la carità, se sarà volontà di Dio”. Santa Agostina si era offerta a Dio per amare nostro Signore e servirlo nella persona dei poveri, nello spirito di San Vincenzo de Paoli, trasmesso dalla Fondatrice e dalla tradizione della Comunità. Ora, morire martire è per lei un privilegio, come lo sarebbe stato per Santa Giovanna Antida, quando, durante la Rivoluzione francese, un soldato, perché ella non vuole giurare fedeltà alla Costituzione rivoluzionaria, la colpisce col fucile lasciandola tramortita. Tutta Roma si scuote davanti ad un tale avvenimento. Le autorità religiose, civili e militari, la gente comune, esce allo scoperto, rende omaggio alla “martire della carità” e parla e diffonde l’ impressionante fama di santità. Beatificata da Paolo VI il 12 novembre 1972, la solenne canonizzazione, decretata da Papa Giovanni Paolo II, ha auto luogo a Roma il 18 aprile 1999.
Il 29 aprile 2003, la Chiesa ci ha fatto un altro grande dono con il Decreto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti: Santa Agostina Pietrantoni è dichiarata Patrona degli infermieri, perché è una figura ispiratrice e una testimone esemplare per gli infermieri, è sostegno e aiuto per il mondo sanitario e per chi è a servizio dei malati.
Tutti siamo lieti e grati a Dio di poter trovare in lei un modello di vita accessibile e imitabile e una protezione che allieta, solleva, consola. La connotazione della sua santità è la ferialità, vissuta nella letizia, nel silenzio, nell’operosità, nella preghiera, nella realizzazione di un’unità di vita derivante dalle prerogative della donna, della religiosa, dell’infermiera, e dal felice connubio tra ricchezze di natura e ricchezze di Grazia di Dio.
Se hai ricevuto qualche grazia attraverso la supplica a questo confratello o conosci qualcuno, per favore contatta il Procuratore Generale, P. Serhiy Pavlish, C.M., a: procgen@cmglobal.org